Green VisionProgetto

Riflessioni sui CAM Strade

Scelte politiche, tecniche, sostenibili. Tre fattori chiave la cui sintesi può porsi come origine e destinazione di infrastrutture di nuova concezione

di MAURO DI PRETE | Socio fondatore IRIDE – Istituto per la Ricerca e l’Ingegneria Dell’Ecosostenibilità

Mi permetto di sviluppare qualche riflessione in merito al tema “CAM Strade” (vai al link che consente di sfogliare e scaricare il decreto), perché è stato questo il principale oggetto della mia missione professionale, da inizio carriera, e per aver costantemente contribuito a ragionare sulla tematica. Non posso non ricordare che, grazie all’illuminazione del mio Maestro universitario e professionale, il professor Carlo Benedetto, mi sono occupato della materia già sul finire degli studi universitari. Aggiungo che un punto di riferimento nella mia memoria è il fatto di essere stato vincitore del terzo premio della Prima edizione “Premio Provincia di Roma per l’ecologia e l’ambiente” nel 1984 con lo studio “Contributo agli studi per le applicazioni delle tecniche di V.I.A. alle costruzioni stradali“, proprio sul finire degli studi.

Direi quindi che c’è da crederci se subito dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale di quelli che per brevità sono chiamati “CAM Strade” mi sono dedicato alla loro lettura e interpretazione. Fondamentalmente per due motivi. Il primo è che un tale dispositivo era atteso da tempo. Sappiamo infatti quante riunioni e quante ore di lavoro sono state impegnate da tutti i principali stakeholder e player del settore per l’emanazione di detto documento, si tratta quindi certamente di un “qualcosa” di maturato nel tempo e pensato ad hoc. Il secondo è che indubbiamente definisce un punto importante per quello che oggi (e su questo ritornerò) definirei lo sviluppo e la gestione sostenibile delle infrastrutture stradali.

Lo confesso subito: la prima lettura, forse un po’ veloce ma non distratta, mi ha lasciato dell’amaro in bocca. La riflessione è stata: e i 38 anni di applicazione in Italia della VIA per le strade che fine hanno fatto? E gli sforzi introdotti dal 2020 in materia di ecosostenibilità dove sono finiti? E veramente sentivamo la necessità di qualcuno (o, meglio, qualcosa essendo un disposto normativo) che ci indicasse “la migliore metodologia disponibile per la valutazione degli impatti ambientali potenziali dei prodotti”, parlando di infrastrutture stradali?

Poiché il professore che ho citato per consentirmi di svolgere un po’ di attività universitaria con il suo gruppo nei primi anni post lauream mi introdusse nelle sue ricerche come “cultore della materia”, questo appellativo mi è piaciuto sempre tenerlo stretto fino ad oggi e quindi ho iniziato a studiare e a rileggere varie volte i “CAM Strade” ormai ufficiali. E da qui cerco di darmi le risposte ai miei dubbi iniziali e, principalmente, di formulare alcune proposte per la loro modalità di lettura e interpretazione, oltre che per poter essere pronti a sviluppare tutti quei temi e documenti che ad oggi sono richiesti e devono essere introdotti nei documenti progettuali e contrattuali. 

Come sempre dico e nell’ambito della struttura che mi onoro di co-dirigere – I’Istituto IRIDE – per poter utilizzare correttamente una norma e un criterio non basta leggero e applicarlo, ma occorre capirlo e farlo maturare, criticandolo, nel caso, in modo costruttivo e nella logica di sviluppo. Le prime risposte me le sono date capendo meglio cosa stessi leggendo, ovvero i Criteri Ambientali Minimi. Tre parole, ma un mondo di cose.

Parola 1: Criteri

Innanzitutto, “Criteri”. Dal vocabolario Treccani leggo: “Distinguere, giudicare”. Quindi i CAM non sono come si sul dire “legge”, non sono elementi assoluti, non sono i 10 Comandamenti, non sono un manuale omnicomprensivo, ma sono indicazioni che ci dovrebbero servire per fare delle scelte, attribuire dei requisiti e delle caratteristiche alle nostre azioni progettuali o realizzative in ambito delle strade.

Attenzione, perché poi sarà facile che qualcuno dica: ma lo dicono i CAM Strade! Attenzione da subito. Non è così, non è vero e non è detto: vanno letti e interpretati tanto che la relazione CAM tra i suoi compiti ha proprio quello di illustrare (Punto 1.1) la non applicabilità o applicazione parziale del CAM con riferimento alle normative tecniche di settore e la stessa relazione (Punto 1.3.3) deve accordare le modalità di contestualizzazione alla tipologia di opera evidenziando gli – eventuali – motivi di carattere tecnico che hanno portato (anche in questo caso) all’eventuale, parziale o mancata applicazione degli stessi. In quanto proprio identificabile come “Criteri”, invece, la nuova cornice documentale espressa dai CAM diventa molto importante per una lettura ancora più propositiva ed evolutiva della progettazione e della realizzazione delle opere nel territorio.

Parola 2: Ambientali

Altra parola è “Ambientali”. Per questa, due sono le sensazioni ricevute dalla lettura del documento. La prima ampia ed estensiva, perché come sappiamo il termine Ambiente fa riferimento a tutto ciò che è “intorno” all’oggetto che si analizza e in tal senso occorre che il progetto prenda in considerazione i criteri, nella logica più ampia possibile, nei confronti degli elementi naturali, antropici, fisici, culturali, sociali, etc. che necessariamente interessano l’intervento.

Ma poi, nella lettura dei singoli passaggi e negli approfondimenti, sembrerebbe che la lettura sia settoriale, specifica su alcuni temi (di cui alcuni anche molto approfonditi e di dettaglio) e quindi non estensiva così come l’etimologia del termine suggerisce e come ci siamo dapprima sforzati e ora un po’ più abituati a intendere.

Parola 3: Minimi

Ma in questa direzione ci viene in soccorso la terza parola: “Minimi”. Non solo i cosiddetti “CAM strade” non sono l’unico fattore da considerare in un progetto di strada, non solo vanno rispettati nella logica di una loro applicazione in qualità di criteri, ma non sono neppure gli unici elementi da considerare. Infatti, è importante osservare che in più punti del documento si parla di “criteri premianti”, ovvero del fatto che il minimo va fatto, ma che non è il solo obiettivo da perseguire. Questo aspetto mi aiuta a fornire una lettura molto positiva al documento stesso.

Eco-transizione

Paragrafo secondo me centrale del documento è il Punto 1.2 “Approccio dei criteri ambientali minimi per il conseguimento degli obiettivi ambientali” che evidenzia come i criteri siano basati sui principi e i modelli di sviluppo dell’economia circolare, per poi aggiungere un importante concetto, quello delle “attività di transizione”.

Qui, però, è necessaria un’attenzione. L’UE ha dato un input basilare nel voler orientare i flussi di capitali verso investimenti effettivamente sostenibili, definendo e delineando i criteri per cui un’attività può dirsi “ecosostenibile” e dettagliando i criteri di vaglio tecnico affinché ciò sia perseguito. Ci riferiamo alla famosa Tassonomia delle attività sostenibili che i CAM richiamano come punto di riferimento, concentrando l’attenzione in modo diretto sul tema dell’economia circolare (1 dei 6 principi tassonomici) e lavorando su tutti gli altri (o meglio su alcuni degli altri) criteri in modo indiretto.

Il documento, infatti, si dedica a dettagliare specifiche tecniche progettuali e per i prodotti da costruzione postulando che nel momento in cui dette scelte siano eseguite come indicato diventerebbero utili al raggiungimento dei principi di sostenibilità auspicati dalla Tassonomia, nonché dagli altri atti comunitari e nell’ambito internazionale (per esempio: Nazioni Unite con l’Agenda 2030). Tutto ciò è da leggere come un fatto estremamente positivo essendo questo il primo decreto che si spinge operativamente in questa direzione, ma un motivo dell’amaro in bocca è che mi aspettavo un po’ di più.

Infatti, il decreto CAM Strade non sembra dedicarsi all’introduzione di attenzioni progettuali e/o costruttive che siano loro stesse volano di sostenibilità. Sì, certo, la sua struttura e le sue indicazioni danno il la a un arricchimento progettuale, costruttivo e gestionale per far sì che le strade siano sostenibili veramente, ma forse si sarebbe potuto essere un po’ più incisivi.

Sostenibilità indiretta

Un esempio potrebbe aiutare. Il Punto 2.3.4 indica le specifiche tecniche per i prodotti da costruzione e nello specifico per i prodotti in acciaio e richiede l’utilizzo di prodotti con un contenuto minimo di materia recuperata, riciclata o di sottoprodotti indicando percentuali minime. È evidente che, oltre a perseguire principi di economia circolare – che, come detto, i CAM assumono come punto di riferimento primario – questa indicazione consente un contenimento di consumo di risorse, ovvero una riduzione di necessità di escavazioni e, di conseguenza, si ritiene anche un contenimento di emissione di gas climalteranti, andando a interessare un altro tassello dell’ecosostenibilità.

Ma l’opera non potrebbe nella sua fase di impostazione, e quindi di progetto, prevedere delle azioni dirette in questa logica? Si pensi al tema, per esempio, dell’illuminazione o della ventilazione di una galleria in cui, piuttosto che prevedere il solo collegamento alle cabine primarie di distribuzione dell’energia, potrebbero essere associati impianti a energia solare o eolica che renderebbero la strada autosufficiente dal punto di vista energetico. 

Questi temi ci sembra non essere stati introdotti nei CAM. Quindi molta attenzione diretta all’economia circolare, ma ci sembra molto meno agli altri 5 punti centrali per generare una strada ecosostenibile. Ma come detto i criteri sono “di minimo”, quindi nulla osta a sviluppare in fase progettale e realizzativa altre attenzioni al settore della sostenibilità, pur se come noto il tema diventa un po’ più hard se lasciato al solo sistema delle premialità. In tal senso un appunto critico mi viene anche in riferimento al Punto 2.2.1 relativo alla “sostenibilità ambientale dell’opera”, dove è indicato che il progetto prevede sistemi atti a ridurre l’inquinamento dell’aria, delle acque superficiali e di falda e del suolo dovuto al traffico e indica che tali sistemi possono includere tre temi: fasce verdi, canalizzazioni in cui collocare tutte le reti tecnologiche e drenaggi delle acque di dilavamento.

Certo, qualcuno potrà comprendere la mia reazione iniziale: direi, un po’ pochino! E ciò che mi meraviglia è il fatto che il solo esame di un progetto di un’infrastruttura stradale in procedura di VIA è un campionario molto più ampio e significativo di proposte e soluzioni per il contenimento dell’impatto ambientale senza neppure scomodare la sostenibilità.

Studi LCA

Dedico un altro momento di riflessione a un tema che non mi trova molto allineato con il documento dei CAM per poi passare alle loro positività e a qualche proposta operativa. L’argomento è legato a quanto indicato al Punto 1.3.2 circa gli studi LCA, un po’ per come sono presentati e un po’ per le finalità che sembra vengono ad essi attribuite. Mi occorrono un paio di chiarimenti.

Il primo è il seguente: perché il documento CAM scrive che gli studi LCA sono richiesti dalla Relazione di sostenibilità indicata dal D.Lgs 36/23? A me non pare che siano richiesti degli studi di LCA, ma la mia lettura del testo degli appalti mi porta a riscontrare che si richiedono una Carbon Footprint e un bilancio dei materiali riferiti entrambi all’intero periodo di vita dell’opera.

Infatti:

c) Una stima della Carbon Footprint dell’opera in relazione al ciclo di vita e il contributo al raggiungimento degli obiettivi climatici;

d) Una stima della valutazione del ciclo di vita dell’opera in ottica di economia circolare – seguendo le metodologie e gli standard internazionali (Life Cycle Assessment – LCA), con particolare riferimento alla definizione e all’utilizzo dei materiali da costruzione – ovvero dell’identificazione dei processi che favoriscono il riutilizzo di materia prima e seconda riducendo gli impatti in termini di rifiuti generati.

Parlare di studi di LCA non mi sembra corretto e potrebbe distogliere l’attenzione rispetto alle indicazioni e ai principi stessi della norma, nonché dei CAM stessi. Gli studi LCA sono altro e finalizzati a ben altre e più complesse tematiche e vogliono raggiungere altri risultati che forse si adattano male a un’infrastruttura di trasporto come una strada.

Il secondo tema, sempre qualora sia superato il primo, che mi spiazza è il fatto che gli studi LCA sono richiamati per definire l’impatto ambientale della strada. E allora tutto il processo di VIA e l’intero sistema decisionale connesso dove lo mettiamo?

Si, è vero che i CAM non sono solo per opere sottoposte a VIA, ma le strade che non sono sottoposte alla compatibilità ambientale secondo tutti i livelli gerarchici di valutazione direi che sono decisamente poche e quindi? Mentre sul primo una spiegazione e una risposta – ovvero una proposta di lavoro – riesco a darmela sul secondo proprio no. Sarà anche la mia antica militanza nelle fila del valutatore di impatto…

Aspetti positivi dei CAM Strade

Inizierei dal fatto che con questo decreto in tutte le attività del settore non si può più fare a meno di evolvere i progetti e le realizzazioni nella direzione della tutela e della valorizzazione ambientale. Mi riferisco a una distinzione di fondo: le strade e le altre opere correlate (parcheggi, etc.) che non sono oggetto di valutazione di impatto ambientale e quelle soggette alla VIA. Il primo campo è certamente relativo a interventi meno impegnativi, ma certamente più diffusi sul territorio e più difficili da tenere sotto controllo perché non attenzionati dal sistema gestionale e dagli stakeholder, ma sono dell’idea che la qualità dell’ambiente la si percepisce nel quotidiano. 

Non solo le grandi opere, non solo gli interventi virtuosi sono percepiti nel nostro vivere il territorio, ma anche e forse soprattutto notiamo e vediamo quelli “dietro casa” e, esercizio che si potrebbe fare anche se molto difficile, le risorse (per esempio) che vengono impiegate se ne facessimo l’integrale non è detto che siano inferiori nel caso delle così dette opere minori. È  vero che un’opera importante nella sua realizzazione impegna milioni di metri cubi di risorse, ma ne viene realizzata una (o in numero limitato) e non certo tutti i giorni, mentre le viabilità locali, comunali, comprensoriali, etc. sono “in azione” in modo continuativo. Quindi un plauso al DM CAM che permette a tutti i livelli di introdurre le attenzioni ambientali alla progettazione, realizzazione e gestione delle strade.

Nella giusta direzione

In termini generali e a più ampia scala, non vi è dubbio che i molti criteri introdotti siano certamente fondamentali per mettere un punto sulle cose da fare nella direzione del rispetto e delle favorevoli condizioni ambientali. Ne cito uno per tutti: l’emissione acustica delle pavimentazioni (Punto 2.2.4). Ancora oggi (o meglio ieri, visto che ora occorre rispettare quanto dettato dal DM in esame!) mi sembra surreale che in fase di progetto di una strada chi redige il SIA è costretto a chiedere al progettista se e dove è stata prevista la pavimentazione fonoassorbente, per poterla correttamente imputare nel modello di simulazione della verifica dell’impatto sul territorio circostante, ed è costretto ad imporla nel SIA altrimenti…

Ma non vorrei trattare gli aspetti evidenti del decreto, quanto piuttosto dedicare l’attenzione agli aspetti più innovativi o, meglio, alle potenzialità che lo stesso ci offre.

Il primo è secondo me il tema introdotto della “transizione”. Ben rispecchia la filosofia alla base del documento e della modalità con la quale occorre leggere e applicare i CAM strade. Questo per due ordini di motivi. La realizzazione e la gestione di una strada è, senza dubbio, un’attività complessa e particolarmente articolata e la stessa non è riconducibile a un’attività economica diretta, ma è l’integrale di una molteplicità di attività economiche, e questo comporta che senza più indugi si svolgano finalmente in modo completo ed esaustivo un esame e una disamina di catalogazione delle stesse: atti che ad oggi non sono sempre chiari ed evidenti e che invece i CAM ci costringono a fare in modo completo ed esaustivo, individuando anche i soggetti “proprietari” dell’azione stessa. 

La progettazione (e il suo attore) forse è un momento delimitabile (anche se non è detto basti pensare alle variazioni dei progetti costruttivi o in corso d’opera) ma già la realizzazione introduce aspetti più complessi, essendo presente l’impresa che esegue e che gestisce il cantiere “madre”, ma anche il fornitore dei materiali che già di suo ha un attività economica propria e distinta da quella di chi realizza una strada e che a sua volta è legata e “condizionata” dalle scelte del primo attore del processo.

Istruzioni (differenziate) per l’uso

Questo aspetto introduce un primo momento di riflessione e di proposta di lavoro dettata dai CAM: una sorta di “istruzioni per l’uso” da assegnare ai diversi soggetti, perché l’applicazione dei CAM da parte del progettista è cosa diversa dalla stessa attività se viene chiesta a un’impresa o a un fornitore di materiali.

Infatti, i CAM introducono il concetto di “attività di transizione”, aspetto dirimente ed evolutivo nel settore in quanto si rivolgono a quelle attività economiche che contribuiscono all’attività economica madre di realizzazione dell’infrastruttura (ma anche di manutenzione e gestione), ma che al momento non sembrano avere dei sistemi a basse emissioni di carbonio tecnologicamente ed economicamente praticabili, ma che devono essere sviluppate e gestite mediante un processo di transizione verso un’economia climaticamente neutra, se rispondenti ai criteri di vaglio tecnico fondamentali ai fini della decarbonizzazione delle produzioni stesse.

È evidente, quindi, il passo in avanti dettato dai CAM Strade, che permettono agli attori del processo di proporre in ogni momento soluzioni innovative e migliorative al fine di raggiungere l’obiettivo “NET Zero” in ogni parte e momento del processo che riguarda “la strada”.

Contesti connessi

In questa logica non è solo da considerare l’attenzione agli elementi costitutivi “interni” della strada, ma anche a quelli “connessi”. Il CAM strade infatti tratta, a mio modo di vedere, i primi con particolare attenzione, ma nei suoi presupposti e principi apre la possibilità di estendere il tema della transizione anche al contesto e all’intorno della stessa nella logica “vera” di ambiente.

Trovo questo riferimento nel chiaro richiamo a tutti gli aspetti non finanziari o ESG, ovvero ai temi dell’ambiente, del sociale, della governance, della sicurezza, etc. nonché nel perseguire l’obiettivo di premiare gli operatori che implementano strategie sempre più allineate con il quadro normativo comunitario che è regolato da quella già richiamata “tassonomia” per opere ecosostenibili.

Quindi la transizione va letta, ricercata e applicata con riferimento alle singole attività economiche che nel loro insieme contribuiscono all’oggetto “strada”, ma anche alla modalità e al rapporto che la strada ha con il suo contesto, che sia legato all’ecosistema nel quale si inserisce, ovvero al suo carattere sociale e culturale.

Questioni applicative

Per agevolare, supportare e dare un criterio di lavoro per la loro applicazione i CAM strade, a parere di chi scrive, devono aprire la riflessione a due strumenti di lavoro da sviluppare e a un’attenzione nell’applicazione. In particolare, credo e proporrei che nell’ambito della Relazione CAM e nella Relazione di Sostenibilità siano sviluppati e attenzionati tre elementi chiave:

• La catalogazione delle attività e connessi operatori economici

• Introduzione dell’abaco della transizione

• Attenta lettura e corretta applicazione di quelli che sono gli studi di LCA

Essendoci già occupati di applicazione di CAM per altre opere e/o in altre situazioni e avendo iniziato a verificare come applicare alle fasi di costruzione i criteri che oggi sono sanciti dal DM in oggetto, poniamo con forza la necessità di ben organizzare e distinguere ruoli e modalità di esplicitazione delle “attività economiche” connesse alla realizzazione di una strada.

A nostro modo di vedere non è applicabile tal quale la logica di “prodotto” a un’infrastruttura. Una strada non è un prodotto, ma è un’opera nel territorio con una serie di funzioni la cui esistenza è proprio l’esplicitazione in modo sinergico e coordinato della messa insieme di più elementi (o prodotti), che sono chiamati nel tempo anche a rispondere a differenti esigenze.

A testimonianza di ciò è importante evidenziare che il Punto 1.3.6 nella conclusione delle indicazioni per la stazione appaltante indica la necessità/possibilità di una “verifica della catena di approvvigionamento dei prodotti da costruzione”, che non solo, a nostro modo di vedere, è la chiave per una corretta applicazione dei CAM, ma è essenziale per poter individuare le sinergie di cui sopra. 

La prima indicazione che ci sentiamo di dare è quella di capire la sequenza dei prodotti e dei rispettivi operatori che sono i soggetti a riferirsi e a cui chiedere il rispettivo contributo, anche in termini di impronta carbonica. Il modo di leggere il processo da parte della stazione appaltante è differente da quella che può eseguire il progettista, queste sono differenti dall’impresa che deve eseguire i lavori e ancora certamente più parziale – ma basilare – è l’indicazione degli operatori economici che mettono a disposizione i prodotti necessari per la realizzazione del tutto nonché dal gestore della strada.

Quindi, per poter sviluppare in modo corretto la Relazione dei CAM riteniamo che il primo passaggio sia quello di eseguire una catalogazione delle attività ovvero dei prodotti che concorrono alla formazione nella loro lettura integrata dell’opera.

Il secondo elemento da associare al progetto dell’opera è la redazione di un “Abaco della transizione” ovvero dell’esplicitazione tecnica delle parti di opera e/o dei loro requisiti che sono finalizzati a dar conto e supportare gli elementi di sostenibilità dell’opera stessa. Di questo si è già avuto modo di scrivere, ma qui si ricorda che, come per tutti gli elementi che caratterizzano un’opera di ingegneria, anche per questa fattispecie non può essere sufficiente una relazione (nello specifico la Relazione di sostenibilità), ma la stessa deve essere arricchita da elaborati tecnici che siano in grado di dettagliare le parti di opera deputate a rispondere agli obiettivi di sostenibilità e – elemento particolarmente importante – nei capitolati e nei computi vi siano le indicazioni per rendere le stesse cogenti.

Cicli di vita, strade, territori

Andando in questa direzione non credo sia opportuno affidarsi al solo sistema delle premialità in quanto alcune scelte devono essere anche interne al sistema strada e, come tali, devono essere definite e quantificate, mentre la premialità può riguardare la loro ottimizzazione, o arricchimento, ma non è certo possibile sviluppare tutto il sistema della sostenibilità mediante sistemi di premialità.

Quindi, mi auguro che il DM 5 agosto 2024 sia, come detto, un sistema di accelerazione in questa direzione, ma non lascerei i principi e i criteri ivi espressi lettera sommersa e pertanto suggerirei di introdurre da subito nei documenti progettuali soluzioni volte a dar conto dei reali principi di sostenibilità.

Questi ultimi sono elementi essenziali per migliorare e ottimizzare le infrastrutture, le strade per prime, e ritengo che i CAM abbiano utilmente sottolineato quale può essere uno strumento adatto in tal senso: analisi e valutazioni mediante gli studi LCA. Così come nel passato si faticava a trovare una metodologia per eseguire il confronto tra scelte progettuali molte volte sviluppate mediante il sistema multicriteri, ma sempre rischiando il tema delle soggettività delle scelte, sembra quanto mai opportuno il suggerimento di adottare gli studi LCA come strumento di confronto.

In questo caso riteniamo necessario capire cosa sia il ciclo di vita di una strada: siamo abituati ad analizzare questo aspetto per i “prodotti”, ma come già evidenziato la strada non è un prodotto, anzi è auspicabile che un’opera sostenibile sia anche “viva” e in questo senso si vorrebbe poter dare un’interpretazione proattiva a quello che va sotto il nome di “Ciclo di Vita”. L’analisi del ciclo di vita di una strada va interpretata sulla base del suo essere: l’opera non dovrebbe essere rigida, “passiva”, bensì in continua evoluzione e adeguamento alle esigenze man mano che esse cambiano (ottimizzazioni, aggiornamenti e modifiche sia fisiche sia funzionali), anche in riferimento al momento post-vita utile. La vita utile andrebbe dichiarata non solo per il calcolo (per esempio) della durabilità delle opere d’arte, ma anche per la sua funzionalità e operatività per poi essere assunta, a quella data, come nuova iniziativa che può confermare per un altro periodo il suo essere o cambiarne uso.

Questo nuovo periodo di vita deve essere dichiarato ed essere oggetto di completo momento progettuale sia per il confronto con gli stakeholder, sia per le autorizzazioni necessarie. L’esempio più classico sono le nuove attività delle infrastrutture dismesse che diventano un’occasione di attività culturali o ricreative come, per esempio, percorsi ciclopedonali in ambiti di interesse naturale o culturale. Solo come ultimo momento, un’opera di ingegneria può essere dismessa in quanto non più utile. Quindi l’attenzione, nell’ottica del raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità, va alla lettura del Ciclo di Vita di un’opera.

Su questo tema molte cose sono da evidenziare e, avendo già applicato il metodo sia a prodotti nel vero senso della parola sia a infrastrutture, la nostra esperienza mette in evidenza che il solo calcolo dei valori finali previsti dallo studio LCA è in fondo un esercizio fine a se stesso. Può essere applicato un bollino per dire che il collegamento stradale da A a B è “green”, ma a cosa ci interessa? Magari proprio per questo attrae più traffico e quindi perde la sua qualifica green senza neppure saperlo. Non devo scegliere se comprare il prodotto X rispetto a quello Z per cui conoscere il valore dell’impronta carbonica a cosa mi serve? Mica penseremo che la realizzazione e la gestione di una strada possa abbattere la CO2?

Secondo noi l’applicazione e la determinazione dell’impronta carbonica per una strada ha un profondo significato se la si legge secondo due livelli. Il primo è al di là dell’opera stessa, mentre il secondo è in termini comparativi di possibili scelte. In merito al primo più lavoriamo e ragioniamo in termini di sostenibilità e più ci si convincerà che la lettura debba essere territoriale e non specifica, di area vasta, di sistema e non di prodotto. Un esempio su tutti. Come detto, la costruzione e la gestione di una strada aumenta certamente l’impronta carbonica, ma di cosa? Se di quell’oggetto, certamente sì. Prima non esisteva ora la devo costruire e poi sarà utilizzata, quindi con un valore positivo di emissione di CO2. Quindi diamo ragione a che non vuole che siano sviluppate le infrastrutture.

Se invece analizzo il tutto con una diversa lente e ingrandisco l’ambito di analisi e, per esempio, considero la rete di trasporto all’interno del quale questo oggetto si inserisce, ovvero considero l’ambito territoriale di pertinenza, allora forse riesco ad avere un bilancio in riduzione dell’impronta carbonica, anzi direi di più: devo proprio pormi questo obiettivo quando imposto l’iniziativa. 

Obiettivi di sostenibilità

Come detto, alla base del progetto o meglio dell’iniziativa occorre sviluppare, verificare e supportare veri e propri obiettivi di sostenibilità. Il riassetto della rete mi può dare un vantaggio complessivo perché, per esempio, i flussi di veicoli sono posti in condizioni di emettere meno in quanto utilizzati in condizioni ideali di esercizio. La strada, quindi, non è un prodotto costruito in uno “stabilimento”, ma un’opera nel territorio.

Al tempo stesso l’oggetto “strada” può essere pensato, realizzato e costruito in più modi. Qual è il modo migliore? Certamente quello che ha una minore impronta carbonica. Ecco che lì posso migliorare e ottimizzare il beneficio territoriale complessivo. Secondo il pensiero mio e dell’Istituto IRIDE, questi aspetti devono essere alla base dell’impostazione di uno studio di applicazione dei CAM e delle relazioni di sostenibilità, come richieste dal D. Lgs 36/23 e dal DM 5/8/2024.

Leggi anche: “L’abaco dell’eco-transizione”

L’autore

Mauro Di Prete, ingegnere, Direttore dell’Istituto IRIDE, da circa 40 anni si occupa di questioni ambientali nell’ambito di progetti di opere pubbliche supportando progettisti e proponenti e collaborando con le autorità. È membro esperto del CSLLPP, II Sezione, e del Comitato Speciale PNRR. Per oltre 8 anni è stato anche membro della Commissione Tecnica VIA-VAS presso il Ministero dell’Ambiente e ha svolto docenze sui temi ambientali a Genova e Roma.

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