Con questo articolo avviamo un percorso di approfondimento a più voci (di esperti della materia) su uno strumento normativo di supporto alle aziende che aiuta a lavorare meglio, rischiare meno e consolidare la reputazione
di MARIARITA GIOMMONI | Avvocato
Quando si parla di “Modello organizzativo 231”, molte aziende lo associano a un obbligo legale. In tal senso si era orientato il Legislatore con il disegno di legge 30 luglio 2018 n. 726 (“Modifica al decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, in materia di responsabilità amministrativa delle società di capitali, cooperative e consortili”). Seppure in un quadro di fonti sovranazionali fortemente orientate in tal senso, allo stato non vi è una norma con portata precettiva che obblighi l’impresa all’adozione del Modello 231, tuttavia, proprio in assenza di una sanzione diretta, l’adozione del Modello Organizzativo diventa elemento di indiscusso valore. Vediamo perché.
Il Decreto Legislativo 8 giugno 2001 n. 231 ha introdotto nell’ordinamento italiano un regime di responsabilità a carico delle persone giuridiche (società, consorzi, associazioni), connesso alla realizzazione di determinati reati-presupposto e fondato sul concetto di “colpa di organizzazione”.
Si tratta di una forma di responsabilità aggiuntiva e autonoma, rispetto alla tradizionale responsabilità penale personale gravante sull’autore materiale o mediato del reato. La relazione ministeriale di accompagnamento alla 231, parla di “tertium genus”: ovvero un sistema che “coniuga i tratti essenziali del sistema penale e di quello amministrativo”. La portata innovativa della 231 è sotto tale profilo indiscussa, come dimostra il crescente interesse e dibattito sulle implicazioni pratiche di tale impostazione.
L’estensione all’Ente delle responsabilità derivanti dalla realizzazione di talune ipotesi di reato-presupposto coinvolge direttamente il patrimonio societario e gli interessi economici dei soci.
L’operatività dell’apparato sanzionatorio previsto dal D. Lgs. n. 231/2001 è subordinata all’accertamento dei seguenti elementi costitutivi dell’illecito:
• la realizzazione di un “reato-presupposto”, ricompreso nel catalogo del Decreto;
• la riconducibilità del reato-presupposto a uno dei soggetti apicali o a uno dei soggetti da questi dipendenti;
• la commissione del reato-presupposto “nell’interesse o a vantaggio dell’Ente.
In sostanza, se una persona che lavora per un’azienda commette un reato e lo fa per far guadagnare l’azienda o farla andare meglio, anche l’azienda può essere ritenuta responsabile. Non solo la persona, quindi, ma anche l’Ente. L’interesse crescente e attuale del legislatore verso la responsabilità introdotto dal D. Lgs. 231 è evidente nel catalogo dei reati-presupposto tassativamente indicati, che è stato notevolmente ampliato con il D. Lgs. 14 luglio 2020 n. 75 attuativo della Direttiva PIF, contemplando reati ambientali, frodi fiscali, reati societari, violazioni sulla sicurezza sul lavoro, peculato. Solo per citarne alcuni.
Quanto all’ambito di applicazione soggettivo, gli enti destinatari del D. Lgs. 231 sono tutte gli entri privati forniti di personalità giuridica (società di capitali, di persone, associazioni, fondazioni, società cooperative, società tra professionisti), con la sola esclusione delle ditte e imprese individuali, dello Stato e degli enti pubblici territoriali. La normativa è applicabile anche agli enti che abbiano sede principale in Italia per i fatti di reato commessi all’estero.
Rinforzare (tutte) le difese
In caso di reato-presupposto realizzato da un soggetto apicale, l’Ente è esente da responsabilità se fornisce la prova (art. 6 comma 1, D. Lgs. n. 231/2001):
• di aver adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, un Modello di Organizzazione e di Gestione idoneo a prevenire reati della specie di quello concretamente verificatosi;
• che il compito di vigilare sul funzionamento e sull’osservanza del Modello e di curare il suo aggiornamento è stato affidato a un organismo dell’Ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo (il cd Organismo di Vigilanza);
• che gli autori del reato lo hanno commesso eludendo fraudolentemente il Modello di Organizzazione e Gestione;
• che non vi è stata omessa o insufficiente vigilanza da parte dell’Organismo di Vigilanza.
Di non poco conto e gravità è l’apparato sanzionatorio previsto dalla legge. In caso di condanna, è prevista l’applicazione di sanzione pecuniaria (commisurata per quote da determinarsi tra un minimo e un massimo sulla base delle condizioni economiche e patrimoniali dell’Ente), sanzione interdittiva dall’esercizio dell’attività (sospensione di autorizzazioni, licenze o concessioni, divieto di contrattare con la PA, esclusione o revoca da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi; divieto di pubblicizzare beni o servizi), confisca (obbligatoria avente ad oggetto il prezzo o il profitto del reato presupposto anche nella forma equivalente) e pubblicazione della sentenza di condanna.
Per evitare questa responsabilità, dunque, la legge dà una possibilità: adottare un Modello di Organizzazione, Gestione e Controllo (detto anche MOG 231) pensato proprio per prevenire quei reati a maggiore rischiosità per l’attività tipica dell’impresa. Se l’azienda dimostra di avere fatto tutto il possibile per evitarli – grazie a un modello serio, ben costruito e applicato – può essere esclusa da responsabilità.
La premialità riconosciuta dall’ordinamento è confermata anche dalla valorizzazione della condotta collaborativa e riparativa dell’Ente che, prima della sentenza, si sia efficacemente adoperato per eliminare le carenze organizzative che hanno determinato il reato mediante l’adozione e l’attuazione di modelli organizzativi idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi (art. 25, comma 5 bis, D. Lgs. n. 231/2001).
Consapevolezza aziendale
Il Modello 231 non è solo una protezione o un sistema difesa. In realtà, quando un’azienda decide di adottare seriamente il Modello 231, si trova a svolgere un lavoro importante: capire come è organizzata, dove ci sono dei rischi, come si possono evitare, chi fa cosa e con quali responsabilità. È un’occasione per mettere ordine, per migliorare i processi, per avere più chiarezza e trasparenza. E questo, in concreto, si traduce nei seguenti step:
1. Identificazione dei rischi (mappatura dei rischi – Risk Assessment), ossia l’analisi del contesto aziendale per evidenziare in quale settore/area di attività possono essere commessi reati presupposto da parte di amministratori o dipendenti;
2. Progettazione del sistema di controllo: adozione di protocolli di prevenzione e di procedure scritte funzionali a mitigare i rischi e a rendere tracciabile e controllabile il processo decisionale della Società (Gap Analysis);
3. Istituzione di un Organismo di Vigilanza e Controllo (ODV) che vigili sull’efficacia del sistema di controllo;
4. Istituzione di un sistema sanzionatorio interno;
5. Adozione del Modello Organizzativo e del Codice Etico.
MOG 231 per crescere bene
Il MOG 231, attraverso le fasi del suo processo di predisposizione, costituisce dunque uno strumento di compliance aziendale in quanto implica un’analisi in termini di efficacia ed efficienza delle procedure aziendali, comprendendo anche, ove occorra, l’individuazione di interventi migliorativi o correttivi, come la creazione o implementazione delle procedure interne già esistenti.
La funzione del MOG non è dunque solo di protezione, ma aiuta l’impresa a conoscersi meglio e a crescere, in termini di legalità, reputazione e fiducia da parte di clienti, partner, banche e collaboratori.
Il Modello 231 è nato per proteggere le imprese da sanzioni e responsabilità. Ma oggi è molto di più. È un modo per lavorare meglio, per crescere, per essere più solidi e credibili. È, indubbiamente, un’opportunità da cogliere.


Progetto di squadra
La narrazione del Modello organizzativo 231 sulle nostre pagine digitali è, in generale, frutto di un articolato lavoro di squadra che vede protagonista un team di specialisti della materia, ovvero, insieme all’avvocato Mariarita Giommoni (Arezzo), autrice di questa nota introduttiva, gli avvocati Sigfrido Fenyes, Francesco Bellucci e Marianna Poletto (Firenze), consulenti di impresa in materia di diritto penale e responsabilità amministrativa delle persone giuridiche. In occasione dei prossimi interventi di approfondimento, avremo modo di presentare a dovere gli autori e le autrici.


L’autrice
Mariarita Giommoni testo testo testo