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“La sfida PNRR si vince con la qualità”

Corpi intermedi, persone, formazione e proposte concrete come “includere” migranti e non-occupati. Intervista a Vito Miceli, presidente di ANCEFERR

di FABRIZIO APOSTOLO 

Un grande cantiere di idee. Un luogo diffuso di connessioni strategiche che si innestano a partire da una cultura specifica: quella della qualità. Il 2 marzo scorso, nella sede del CNEL a Roma, un convegno ha rappresentato l’occasione per una riflessione profonda e a più voci su una serie di temi di ampia portata e cruciali, per la vita del Paese. Il punto di partenza, come da titolo, sono “le infrastrutture per la mobilità”, quello di arrivo appena poche parole dopo “lo sviluppo del Paese”, nel mezzo l’aggettivo-ponte che fa da preziosa chiave di lettura, infrastrutture… “strategiche”. “Le infrastrutture per la mobilità strategiche per lo sviluppo del Paese”, organizzatore ANCEFERR, ovvero l’Associazione Nazionale Costruttori Edili Ferroviari Riuniti, insieme allo stesso CNEL. Tra i partecipanti, il suo presidente Tiziano Treu, il viceministro alle Infrastrutture Edoardo Rixi, i parlamentari Maurizio Lupi, Raffaella Paita e Roberto Pella.

Le infrastrutture in questione, nello specifico, sono quelle ferroviarie, ambito trasportistico avanzato che oggi, in particolare, si trova al centro dei programmi PNRR, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. A realizzarle e manutenerle, nella quotidianità serrata del progetto e del cantiere, un corpus di imprese di cui ANCEFERR ne rappresenta 80, tutte qualificate RFI e ad alta specializzazione, nonché capaci di dare lavoro (direttamente) a circa 3.000 persone e (indirettamente) ad altre 3.000. Oltre che espressione di “forza tecnica”, tuttavia, oggi l’associazione guidata da Vito Miceli e diretta da Maria Cristina Polidoro si pone sempre di più anche come “forza ideativa”, ovvero generatrice di pensiero strategico, per l’appunto, in virtù della sommatoria di esperienze che rappresenta e di un’“età” associativa (11 anni…) che fa sì che il suo sguardo sia decisamente rivolto al futuro e fortemente improntato all’innovazione.

Presidente Miceli, partiamo proprio dall’“innovazione delle idee”. Il convegno del CNEL ha voluto porre all’attenzione, in prima battuta, il ruolo dei corpi intermedi, ovvero di tutta quella filiera di organismi che si colloca tra le istituzioni e i cittadini, mediandone o filtrandone i rapporti. Come mai la scelta di mettere questo tema al centro della scena?

Il ruolo di mediazione o, ancora meglio, di cerniera tra politiche e relativa attuazione è storicamente cruciale, e questo è anche e soprattutto il nostro ruolo, su cui occorre riflettere in modo particolarmente approfondito proprio in questa fase di complessità che il nostro Paese sta vivendo. Prendiamo il PNRR: risorse agli Stati Membri dall’Europa in cambio di riforme secondo tappe concordate. Già, solo che nel frattempo è esplosa la guerra russo-ucraina con il relativo sconvolgimento delle agende e della vita delle persone (un esempio: l’aumento dei prezzi delle materie prime, con ricadute su ogni genere di attività). Come possiamo dare risposte rapide e concrete in questo scenario mutato o in quelli che verranno? Senz’altro muovendoci unendo le voci, della politica con la società civile, delle organizzazioni datoriali con i sindacati, e via di questo passo. Il lavoro, e la scelta di parlarne al CNEL non è stata casuale, può essere un formidabile filo conduttore tra tutte le istanze che hanno come obiettivo lo sviluppo, che deve essere diffuso e condiviso.

In questo contesto critico, sta venendo meno lo slancio del PNRR?

Soltanto in parte, perché anche in questo scenario irto di criticità, il PNRR resta un formidabile e irripetibile volàno per far ripartire il Paese, un progetto indispensabile per rilanciare investimenti e infrastrutture. Il punto è innervarlo di sostanza e stabilità, di progettualità e competenze, di produttività e lavoro. E occorre farlo all’unisono. La nostra riflessione, che è fortemente propositiva, nasce dall’analisi lucide delle complessità ma anche dalla volontà di scongiurare un rischio: quello che dalle crisi venga plasmato un nuovo modello di intermediazione in cui possa prevalere l’agire lobbistico dei gruppi economici più forti, a discapito di tutto il resto. Mi domando: chi siede ai tavoli decisionali? I soliti noti, nuovi soggetti emergenti? Chi ne fa le spese? Le associazioni, le imprese, i lavoratori che hanno meno potere contrattuale rispetto ai “big” (o presunti tali). Eppure, durante l’emergenza pandemica abbiamo visto in azione nelle nostre comunità non poche forme di solidarietà collettiva, di iniziative di aiuto e di sostegno reciproco che hanno contribuito a mantenere la coesione sociale.

Il convegno ANCEFERR-CNEL: scarica tutti i materiali utili

Restiamo nel laboratorio di idee: su quali cardini si deve poggiare, a suo avviso, un’evoluzione virtuosa del sistema-Paese?

Per esempio sulle persone e sul lavoro. Come associazione, fin dalla nostra nascita, abbiamo sottolineato l’importanza di mettere in campo azioni specifiche che tutelino i lavoratori. Penso all’obiettivo “incidenti zero”, condiviso da tutte le imprese appaltatrici. Per ANCEFERR essere impresa significa mettere al centro le persone: dipendenti qualificati, curriculum degli associati che non comprendano fallimenti continui e continui cambi di ragione sociale. Anche per questo abbiamo chiesto alle istituzioni di scardinare il sistema delle gare oggi vigente, che di fatto attribuisce sempre più massicciamente alla sola valutazione economica la parte fondamentale del punteggio per appaltare un lavoro. È urgente intervenire con una norma perché il prezzo influisca al massimo per il 10% nei criteri di attribuzione che invece devono basarsi sui requisiti tecnici, di qualità e storicità dell’impresa che avrà il lavoro.

La qualità della vita delle persone nasce dunque dalla qualità del lavoro delle stesse: siamo al punto cruciale della questione?

Certamente. E qui torna la necessità di rinforzare la rappresentanza, ovvero i corpi intermedi, separandoli dalle lobby. La nostra società, infatti, ha necessità di organizzazioni terze, indipendenti ma trasparenti, con regole e rendicontazioni precise, che portino avanti i bisogni di cittadini e imprese. Proprio il PNRR ci ha messo di fronte a noi stessi, ai problemi del Paese, per risolvere i quali non bastano i soldi, ma servono anche soluzioni concrete. Con questa mole di investimenti è infatti fondamentale capitalizzare le competenze, approfittarne per investire sulle persone e creare professionalità. Ci dobbiamo mobilitare su questo punto perché abbiamo un gap che va colmato.

Proposte concrete per fare dei passi avanti nella giusta direzione, ovvero quella del bene comune, anche e soprattutto in ragione della “grande occasione PNRR”?

Per esempio dobbiamo pensare finalmente a Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro per la manodopera specialistica, che prevedano l’obbligo di formazione in ambito salute e sicurezza sui luoghi di lavoro. Sono anni che ci giriamo intorno, ma oggi il PNRR ci lancia, anche in questo ambito, un assist formidabile. La sicurezza, del resto, rientra tra i nostri capisaldi storici, fondativi, insieme alla qualità e alla formazione. Sono i fondamentali del fare impresa, che non è solo business ma anche e soprattutto crescita sociale, culturale, proiezione economica nel lungo periodo. Insomma, sviluppo.

Un tema chiave nel settore delle infrastrutture, ma non solo, riguarda oggi, più in generale, la quantità e insieme la qualità della forza lavoro. Una grande squadra che occorre dunque “formare”, in tutti i significati della parola. Qual è la ricetta propone ANCEFERR, al proposito?

Per la realizzazione dei progetti PNRR, stimiamo un’immissione immediata potenziale di 1.000 lavoratori nelle nostre imprese associate, mentre in Italia da qui al 2026 saranno necessari oltre 375mila lavoratori in più rispetto a quelli oggi disponibili per avviare e completare le opere connesse al Piano. Una domanda aggiuntiva che nel 2025, anno di picco del lavoro dei cantieri, raggiungerà i 100mila lavoratori per il settore delle costruzioni. Questa realtà, peraltro, è stata fotografata da un dettagliato studio lanciato da Banca d’Italia, in cui si indicano due strade per provare a uscire dall’impasse. Uno: investimenti significativi nelle politiche attive del lavoro, includendo percorsi specifici di formazione. Due: flussi migratori consistenti. Quello a cui potremmo lavorare insieme riguarda l’individuazione di un percorso “chiavi in mano”, percorribile con le regole attualmente in vigore per facilitare un progetto di “job matching”, in particolare per le esigenze legate al PNRR, rivolto non solo ai cittadini italiani e alle persone straniere presenti in Italia che già possono lavorare (cittadini comunitari o extracomunitari con permesso di soggiorno), ma finalizzato ad ampliare la platea ai migranti da Paesi extra UE.

Un incontro, fortemente inclusivo, tra domanda e offerta…

…regolato da un programma sperimentale diretto sia a coloro che sono rifugiati con titolo riconosciuto e in cerca di occupazione, sia a chi, a due mesi dall’arrivo in Italia, non possiede ancora lo status di rifugiato, ma è comunque occupabile, in un percorso che possa privilegiare il riconoscimento sistematico dei cosiddetti profili delle competenze, la formazione, al sistema burocratico del semplice esame di titoli. Potrebbe essere interessante ripercorrere quanto già attuato in alcuni Paesi Ue, Germania in testa, con politiche volte a un fast-track (percorso veloce) nel mercato del lavoro, grazie alla valutazione precoce di competenza e qualifiche possedute e da integrare con i nostri percorsi formativi specialistici per il PNRR.

Quali sono gli step necessari per arrivare a questo risultato?

Proponiamo innanzitutto la creazione di una piattaforma di confronto attraverso l’istituzione di un tavolo operativo. Grazie al coinvolgimento di soggetti qualificati e riconosciuti del terzo settore, con l’aiuto di esperti, vorremmo portare al nostro prossimo congresso nazionale un “kit salva-imprese” per individuare un modello sostenibile su tutto il territorio nazionale. Ogni impresa associata potrà beneficiare di un aiuto concreto per realizzare percorsi di formazione finalizzati all’impiego di lavoratori da Paesi extra Ue. Questa operazione risulta pienamente “win-win”: per chi offre lavoro, che può trovare le risorse necessarie, in un percorso relativamente veloce di formazione e immissione sul campo, con soggetti selezionati e affidabili; per chi cerca lavoro e condizioni di vita dignitosa nel nostro Paese in cambio dell’impegno nel percorso lavorativo concordato; per la società civile, che vedrà l’avanzamento dei cantieri PNRR insieme alla concretizzazione di modelli positivi di integrazione e sviluppo.

Sempre a proposito di lavoro, avete anche proposte specifiche per il mercato nazionale?

Assolutamente sì. La situazione italiana vede uno zoccolo duro di cittadini disoccupati, in cui vanno compresi i percettori di reddito di cittadinanza, risultati “occupabili”, e la popolazione dei giovani NEET, che non lavorano, non studiano e non cercano occupazione. Nel terzo trimestre 2022 la quota di disoccupati in Italia ha raggiunto 1,9 milioni, di cui la metà senza lavoro da oltre un anno. In questo senso chiediamo al Governo e alla politica di farsi promotori di politiche di reclutamento attivo, in modo molto meno generico che in passato, consolidando percorsi formativi di qualità, finalizzati alla realizzazione del PNRR. Di certo non sarà possibile trovare esperti e forza lavoro da un giorno all’altro, per cui è indispensabile individuare soluzioni concrete e virtuose, prive di sovrastrutture ideologiche. Siamo già in ritardo. Includiamo in questo bacino la quota di percettori del reddito di cittadinanza che perderanno il beneficio perché dichiarati “occupabili” in età lavorativa e che dovranno seguire percorsi formativi per potersi poi ricollocare. L’Istat a dicembre ha stimato che la riduzione del reddito di cittadinanza riguarderà circa 850mila individui, un terzo del totale degli attuali percettori.

Potranno essere tutti impiegati nel settore delle costruzioni?

No di certo, ma forse alcune migliaia sì, atteso che questa platea di inoccupati raccoglie un terzo dei cosiddetti NEET, che in totale sono oltre 3 milioni di giovani dai 15 ai 34 anni. L’Italia, secondo i dati Istat, alla fine del 2022 risulta il Paese europeo con il più alto numero di NEET. Tutti cittadini che potenzialmente, se correttamente intercettati, potrebbero rispondere alle esigenze delle imprese e in particolare per la realizzazione del PNRR.

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