Scelte politiche, tecniche, sostenibili. Tre fattori chiave la cui sintesi può porsi come origine e destinazione di infrastrutture di nuova concezione
di MAURO DI PRETE | Socio fondatore e Direttore Istituto IRIDE
FRANCESCA ANDREI | Ph.D. Settore Sostenibilità Istituto IRIDE
Il 2024, l’anno in corso, viene dopo il 2020. E fin qui si dice una banalità, ma forse così non è se si riflette sul fatto che il 2020 definisce l’era della “Pandemia”. Un fenomeno mondiale che non rappresenta l’oggetto di queste riflessioni, ma che risulta rilevante in quanto senza dubbio la Pandemia ha lasciato un’eredità importante, ovvero ha portato un cambiamento in molti settori del vivere sociale, tra cui quello della progettazione. Questa eredità va colta come un’occasione da non perdere.
L’iniziativa che si vuole sviluppare in questa occasione è associata alla definizione degli Obiettivi di Sostenibilità di un Progetto, da identificare prima ancora del suo sviluppo. È un tema che fa parte di quella che è possibile definire come “Finanza Sostenibile” e non per nulla tale affermazione si riferisce a chi muove le cose, e se tale aggettivo “Sostenibile” lo hanno individuato loro un motivo c’è e crediamo anche che sia molto importante.
Nel passato progetti “belli” senza dubbio sono stati sviluppati, ma, come in ogni cosa, non bisogna adagiarsi sugli allori, ma è necessario evolversi e migliorare. Oggi è possibile far riferimento a quell’aggettivo, “sostenibile”, che molte volte è utilizzato in modo eccessivo o a volte solo come un’etichetta, ma che cela un’importante innovazione data dal perseguimento della “sostenibilità”. Una parola che meriterebbe una trattazione ben più approfondita, anche perché a volte sembra vuota di significato o di valore tecnico e ingegneristico. Al contrario, in questa occasione si vuole concentrare l’attenzione su tre temi della progettazione che potrebbero rappresentare il valore aggiunto, da considerare intrinseco in ogni processo progettuale. Nello specifico, i temi della progettazione a cui si sta facendo riferimento sono:
1. Gli obiettivi di sostenibilità nelle scelte infrastrutturali. Le scelte infrastrutturali non debbono esimersi dal perseguire almeno un obiettivo di sostenibilità, così come quelli definiti dall’Agenda 2030. Gli input che muovono l’iniziativa progettuale non solo possono essere basati su input politici, dunque non solo tecnici, ma deve esserci all’origine (e destinazione) dell’iniziativa un obiettivo di sostenibilità;
2. Condivisione dell’iniziativa e coinvolgimento degli Stakeholder durante tutto il periodo di vita dell’opera;
3. Definizione cogente di interventi di sostenibilità, in quanto parte integrante dell’opera.
Sostenibilità all’origine
Una strada deve far in modo che sia reso agibile e funzionale il collegamento tra il punto A e il punto B; un porto si rende necessario per avere un efficace scambio modale tra lo spostamento di persone e merci da una modalità terrestre al sistema marittimo, sia per velocizzare gli spostamenti sia per raggiungere luoghi differenti; un aeroporto offre un servizio di mobilità aerea a una crescente domanda di spostamenti a medio-lungo raggio e così via.
Iniziative infrastrutturali come queste possono rispondere in maniera idonea agli obiettivi di sostenibilità? I motivi più canonici che hanno generato fin ad oggi le iniziative infrastrutturali sono sufficienti per soddisfare le nuove esigenze della società? Probabilmente no. Questo ha portato a interrogarsi sugli obiettivi che sono da aggiungere a quelli finora considerati, che ovviamente non devono scomparire o essere dimenticati ma devono “solo” essere corroborati e integrati da altri.
Nel box a corredo di questo intervento (qui sotto) viene presentata una possibile ipotesi di obiettivi di sostenibilità da assumere alla base della proposta progettuale. Per fare un esempio di come è possibile pensare all’integrazione degli obiettivi di sostenibilità con le iniziative infrastrutturali: una strada può essere pensata per fare in modo che la rete dei trasporti di una porzione di territorio sia tale da promuovere la qualità dell’ambiente locale, percettivo e culturale al fine di perseguire un riequilibrio territoriale e mitigare i cambiamenti climatici.
La strada può essere così progettata non solo per impiegare meno tempo di percorrenza (che magari rimane invariato), non solo per favorire lo scambio delle merci (che in ogni caso potrebbe essere agevolato), ma perché la sua realizzazione consente di riqualificare una porzione di territorio degradata (per esempio aree abbandonate) aumentandone il valore ecologico e favorendone la biodiversità, di creare dei percorsi panoramici promuovendo la conoscenza e il turismo e infine di riequilibrare le modalità di deflusso dei mezzi con la possibilità di circolazione dei veicoli alle più idonee modalità di combustione dei motori termici, riducendo le emissione di gas climalteranti e/o creando percorsi in cui è più conveniente creare postazioni di ricarica di veicoli elettrici favorendo, se del caso, anche la modalità con sistemi più salubri (per esempio e-bike).
Un’ iniziativa del genere fino ad oggi non era quasi possibile, da oggi, invece, potrebbe essere considerata al pari di altre iniziative perché persegue importanti Obiettivi di Sostenibilità. Ovviamente, la condizione migliore è quella di coniugare i diversi aspetti, tecnici e sostenibili, in un unico obiettivo nella fase delle scelte strategiche di sviluppo di un’iniziativa infrastrutturale, senza dare priorità ad alcuni e demandare gli altri a delle mere tappe di verifica per obblighi normativi.
Tutto questo può essere tradotto in un pensiero: progettare sostenibile.
Ipotesi di obiettivi di sostenibilità per un’infrastruttura
L’idea di sviluppo sostenibile presenta una natura complessa, soggetta a numerose interpretazioni, ma la definizione universalmente riconosciuta risale al 1987 e si trova – occorre sempre precisarlo anche se ormai ben noto – nel cosiddetto “Rapporto Brundtland” dal titolo “Our common future”, il quale pone l’attenzione sui principi di equità intergenerazionale e intragenerazionale. Il rapporto identifica per la prima volta la sostenibilità come la condizione di uno sviluppo in grado di “assicurare il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di realizzare i propri”.
Da qui, altro momento importante è la risoluzione adottata dall’Assemblea Generale ONU il 25 settembre 2015 nella sua settantesima sessione dal titolo: “70/1. Trasformare il nostro mondo: l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile”. Gli obiettivi fissati dall’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile hanno una validità globale, riguardano e coinvolgono tutti i Paesi e le componenti della società, dalle imprese private al settore pubblico, dalla società civile agli operatori dell’informazione e cultura. Successivamente, un altro passaggio fondamentale di regolamentazione e di definizione della materia è il Regolamento (UE) 2020/852 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 18 giugno 2020 relativo all’istituzione di un quadro che favorisce gli investimenti sostenibili e recante modifica del regolamento (UE) 2019/2088.
A partire dai sopra citati riferimenti, come già si è avuto modo di esporre in altre riflessioni pubblicate da VISIONJ, si è costruito un percorso logico volto alla definizione della sostenibilità di un’infrastruttura, attraverso l’individuazione e le modalità di perseguimento dei cosiddetti “Obiettivi di Sostenibilità”. Da queste analisi appare possibile determinare quelli che sono gli obiettivi di sostenibilità per un’infrastruttura, come riportati nella tabella che segue.
Il fattore condivisione
Passando al secondo punto, un’opera pensata anche per rispondere agli Obiettivi di Sostenibilità vuole e deve essere pensata “condivisa”. In questo modo, forse, sarà più facile pensarla sostenibile. Il confronto e il dialogo devono essere momenti ordinari di un iter progettuale del (o almeno dal) 2024.
“Il punto da cui partire – così un passaggio estratto dalle Istruzioni per l’uso, a firma di Mauro Di Prete e Alfredo Martini, del Position Paper n.6, redatto da AIS Associazione Italiana per le Infrastrutture Sostenibili – è che lo Stakeholder Engagement costituisce uno straordinario strumento di applicazione della democrazia partecipativa. Alla sua origine vi è un cambiamento di paradigma rispetto al modo tradizionale e prevalente di guardare ai processi decisionali di trasformazione del territorio. Soprattutto per tre motivi: per il ruolo centrale affidato agli interessi e alle esigenze della collettività; per l’importanza data all’ascolto e al dialogo tra i diversi soggetti coinvolti; per la continuità delle relazioni lungo l’intero percorso caratterizzante il ciclo di vita di un’opera pubblica”.
Il principale punto di riferimento è la corretta e proattiva collocazione dei singoli attori del processo: ogni singola iniziativa è correlata all’insorgere di un’“esigenza” e questa deve essere sviluppata con chiarezza da quello che è definito promotore del bisogno che deve sin da subito confrontarsi con la collettività e con chi gestisce i luoghi interessati al fine di maturare fin da subito un’ idea condivisa che deve essere presentata ai soggetti che hanno responsabilità in ambito decisionale. Con la forza di un’idea già solida, il “decisore” può delineare percorsi e programmare l’evoluzione dell’iniziativa anche in termini finanziari delineando ruoli e responsabilità. Il bisogno si trasforma in iniziativa che, a sua volta, è in capo ad un preciso soggetto ed è questo che mette in moto il progetto a cui ci si riferisce in queste riflessioni. Il così detto “proponente” non deve esimersi dal continuare il processo di confronto e insieme al “progettista” deve sviluppare in parallelo agli atti progettuali i momenti di dialogo e di arricchimento del proprio lavoro, anche mediante le conoscenze che derivano dal territorio.
In questa logica vi sono, tra le altre, due attenzioni che devono emergere per favorire e rendere attuabile il cambio di paradigma al quale si ambisce. La prima è la definizione e il rispetto dei ruoli. Il progettista è (a torto e a ragione) colui il quale detiene la conoscenza tecnica di quello che si vuole sviluppare e pertanto non è opportuno che dal lato “stakeholder” si ritenga di sapere come risolvere le problematiche. Le indicazioni che vengono fornite al fine di integrare la futura opera con il territorio devono essere espresse correttamente da parte degli “stakeholder” ma, al tempo stesso, il progettista deve con umiltà e trasparenza assumerle alla base dei propri atti senza ritenerle di rango inferiore solo perché non di natura tecnica e, quindi, in qualche modo “risolvibili”.
Al contempo, il secondo tema è il momento in cui questo confronto avviene. Come detto è opportuno che lo stesso nasca ben prima dell’inizio della progettazione vera e propria e in ogni caso continui in parallelo. Oggi la norma indica un momento preciso che è quello che si definisce Dibattito pubblico da sviluppare sulla base del DOCFAP nella fase del Progetto di Fattibilità Tecnico Economica (PFTE). Sebbene questo sia un momento “significativo” dello sviluppo progettuale, se si vuole un progetto effettivamente condiviso non può essere circoscritto a un solo momento di vita dell’opera. Il confronto, infatti, si ritiene uno strumento necessario ed efficace sin dall’ ideazione dell’iniziativa per passare dalla sua definizione, progettazione, ostruzione a come l’opera, una volta che è integrata nel suo contesto, vive ed è vissuta.
Opera viva di ingegneria
In tal senso, è auspicabile che un’opera sostenibile sia anche “viva” e in questo senso si vorrebbe poter dare un’interpretazione proattiva a quello che va sotto il nome di “Ciclo di Vita”. L’analisi del ciclo di vita di un’opera di ingegneria va interpretata sulla base del suo essere, non come un prodotto: l’opera non dovrebbe essere rigida, “passiva”, bensì in continua evoluzione e adeguamento alle esigenze man mano che esse cambiano (ottimizzazioni, aggiornamenti e modifiche sia fisiche sia funzionali), anche in riferimento al momento post-vita utile. La vita utile andrebbe dichiarata non solo per il calcolo (per esempio) della durabilità delle opere d’arte, ma anche per la sua funzionalità e operatività per poi essere assunta, a quella data, come nuova iniziativa che può confermare per un altro periodo il suo essere o cambiare uso.
Questo nuovo periodo di vita deve essere dichiarato ed essere oggetto di completo momento progettuale sia per il confronto con gli stakeholder sia per le autorizzazioni necessarie. L’esempio più classico sono le nuove attività delle ferrovie dismesse che sono un’occasione di attività culturali o ricreative come, per esempio, percorsi ciclopedonali in ambiti di interesse naturale o culturale. Solo come ultimo momento un’opera di ingegneria può essere dismessa in quanto non più utile. Quindi l’attenzione, nell’ottica del raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità, va alla lettura del Ciclo di Vita di un’opera.
Quantificare la sostenibilità
In un’ottica di “progetto sostenibile” sono molteplici le riflessioni che, come Istituto IRIDE, si stanno sviluppando anche e non da ultimo in materia di permitting ambientale, ma, per brevità, in questa sede ci si riferisce a un altro tema ritenuto essenziale, ovvero la cogenza delle parti di opera per la sostenibilità. Non si vuole creare confusione dicendo questo, perché il progetto è sostenibile per molti aspetti non solo perché ha un pannello fotovoltaico. Esagerare permette di rendere l’idea.
Pertanto, la sostenibilità di un’opera parte da una filosofia concettuale, da un’applicazione specifica, da un criterio di condivisione e concertazione, ma non può esimersi nel definire anche le parti dell’opera che fisicamente danno adito a sviluppare i concetti espressi nelle modalità e negli obiettivi. Se per esempio si vuole rendere indipendente un cantiere dal punto di vista energetico, ovvero si vuole rendere trasparente ai consumi l’uso di una galleria (illuminazione, ventilazione, eccetera), occorre che, oltre alla dichiarazione di intenti, il progetto definisca e quantifichi – anche economicamente – questi interventi.
Analogamente vale per gli interventi di tipo territoriale da sviluppare per l’inserimento nel contesto o per motivi di ottimizzazione degli habitat e più in generale per motivi ambientali. In altre sedi, anche su VISIONJ, abbiamo definito questo aspetto come “Abaco dell’Eco-Transizione”, punto centrale di un progetto pensato e sviluppato in modo sostenibile.
Gli autori
Mauro Di Prete, ingegnere, Direttore dell’Istituto IRIDE, da circa 40 anni si occupa di questioni ambientali nell’ambito di progetti di opere pubbliche supportando progettisti e proponenti e collaborando con le autorità. È membro esperto del CSLLPP, II Sezione, e del Comitato Speciale PNRR. Per oltre 8 anni è stato anche membro della Commissione Tecnica VIA-VAS presso il Ministero dell’Ambiente e ha svolto docenze sui temi ambientali a Genova e Roma.
Francesca Andrei, ingegnere ambientale e Ph.D. (laurea e dottorato conseguiti entrambi presso La Sapienza Università di Roma), attualmente si occupa proprio di ingegneria ambientale nell’ambito delle attività dell’Istituto IRIDE ricoprendo il ruolo di supporto al referente della BU Infrastrutture. Durante il percorso del Dottorato di Ricerca ha anche approfondito tematiche legate alla consulenza idraulica ambientale.