Approfondiamo, con una specialista della materia, la terza lettera della triade Environmental Social Governance. Per scoprire che si tratta di un fondamentale punto di partenza e non di arrivo.
Con questo articolo diamo il via ad un percorso di approfondimento dedicato ai pilastri della sostenibilità, partendo da quello che – relegato a voce finale – è in realtà il vero motore di ogni trasformazione sostenibile: la Governance. Parliamo di ESG, certo. Ma in molti casi, e per molte imprese, sarebbe forse più corretto parlare di GSE. Perché senza una governance consapevole – che creda nella sostenibilità, che strutturi l’impresa, che ne guidi le scelte e controlli i risultati – non si parte nemmeno.
di MARTINA GIORDANO BUONO | ESG Specialist, Dottore Commercialista e Revisore dei Conti
La governance al centro della CSRD
Il nuovo impianto normativo europeo, con l’introduzione della CSRD (Corporate Sustainability Reporting Directive), attribuisce un ruolo centrale alla governance nella gestione e rendicontazione delle strategie ESG. La CSRD richiede non solo di spiegare come l’impresa gestisce le tematiche ambientali e sociali, ma soprattutto chi lo fa, con quali competenze, quali responsabilità, quali politiche e con quali meccanismi di controllo.
Questa attenzione si concretizza in modo esplicito negli European Sustainability Reporting Standards (ESRS): i 12 standard che danno forma concreta agli obblighi della CSRD. Tra questi, due sono “cross-cutting” (cioè trasversali) – ESRS 1 e ESRS 2 – mentre gli altri sono dedicati alle singole aree: 5 ambientali, 4 sociali e 1 relativo alla governance, il cosiddetto ESRS G1 – Condotta aziendale.
Ma la governance, in realtà, attraversa trasversalmente tutta l’architettura normativa. E lo fa già a partire dall’ESRS 2, che chiede alle imprese di fornire disclosure puntuale sul funzionamento dei propri organi di amministrazione e controllo, evidenziando composizione, competenze, ruoli, sistemi di incentivazione e processi decisionali.
ESRS G1: come si governa la sostenibilità?
L’ESRS G1 richiede di raccontare la condotta dell’impresa: non a parole, ma attraverso politiche, prassi, azioni e risultati. Sono sei i requisiti informativi richiesti, che possiamo ricondurre a tre grandi aree:
1. Etica e cultura d’impresa: Come promuove l’azienda i propri valori? Come affronta il tema della corruzione? Quali misure adotta per la protezione delle informazioni e per la segnalazione di illeciti? Il Modello 231, in questo ambito, rappresenta un riferimento concreto per dare sistematicità a questi presidi.
2. Gestione della catena del valore: L’impresa non è un’isola. Il principio G1 richiede trasparenza sulle politiche di selezione e gestione dei fornitori, con particolare attenzione ai criteri ambientali e sociali, ma anche agli aspetti pratici, come i tempi medi di pagamento alle PMI.
3. Influenza politica e attività di lobbying: Quanto pesa l’influenza dell’azienda sulle scelte pubbliche? G1 chiede di rendicontare contributi finanziari, in natura o indiretti, destinati ad attività di lobbying o sostegno politico.
I tre pilastri della governance ESG
All’interno di questo nuovo scenario normativo e operativo, sono tre, in particolare, gli elementi fondamentali che le imprese devono presidiare per dimostrare un’effettiva adesione ai criteri ESG:
1. Una composizione adeguata e consapevole degli organi di governo: la governance deve essere strutturata in modo da garantire chiarezza di ruoli, responsabilità ben definite, e competenze adeguate alla gestione delle tematiche di sostenibilità.
2. L’adozione di policy e procedure che non siano solo dichiarative, ma anche attuative: è necessario che le imprese sappiano dimostrare, in modo tracciabile, come le politiche si traducano in azioni concrete e quali misure siano state adottate per perseguire e monitorare gli obiettivi prefissati.
3. Una rendicontazione chiara, coerente e conforme: i risultati devono essere comunicati con trasparenza, secondo i requisiti previsti dalla normativa e nel rispetto degli standard fissati dalla CSRD e dagli ESRS.
Governance, dunque, non come orpello burocratico, ma come architrave dell’intero edificio ESG. È significativo che fin dagli standard trasversali (ESRS 1 e 2), e ben oltre il principio ESRS G1, la governance sia considerata la chiave interpretativa dell’intera rendicontazione di sostenibilità.


Governance: da obbligo a opportunità strategica
La centralità della governance emerge con evidenza dalla sua capacità di connettere ambiti tra loro diversi: dalla conformità normativa alla gestione dei rischi, dalla tutela della reputazione alla generazione di valore nel medio-lungo termine. Governare la sostenibilità significa, oggi, affrontare con metodo le implicazioni della doppia materialità: valutare, cioè, da un lato gli impatti che l’impresa genera su ambiente e società; dall’altro, gli effetti che fattori ambientali, sociali e regolatori esercitano sull’organizzazione e sulla sua performance economico-finanziaria.
In questa prospettiva, strumenti come il Modello 231 assumono una funzione che va ben oltre il piano difensivo. Si configurano, anzi, come vere e proprie infrastrutture operative al servizio di un sistema di controllo integrato, in grado di supportare l’analisi dei rischi, rafforzare la compliance e dare concretezza ai valori etici dichiarati.
Una governance solida, consapevole e dotata degli adeguati presìdi è oggi il presupposto necessario non solo per adempiere agli obblighi della CSRD, ma anche per costruire un’identità aziendale coerente, trasparente e credibile. In questo senso, la sostenibilità non si esaurisce nella misurazione e nella rendicontazione. È, prima di tutto, una visione strategica. E come ogni visione, ha bisogno di guida, struttura e direzione.
Il principio di doppia materialità impone alle imprese una lettura bidirezionale della realtà, orientandole verso un approccio più completo, più maturo, più capace di interpretare la complessità. Un cambio di paradigma che richiama direttamente il ruolo della governance nella strutturazione di processi, nell’allocazione delle responsabilità, nell’adozione di misure preventive e correttive.
La cosiddetta due diligence ESG – così come delineata dalla CSRD e articolata negli ESRS – non può più essere considerata un adempimento accessorio o una valutazione astratta. Si tratta di un processo strutturato, scandito da fasi ben definite: dall’identificazione degli impatti alla loro valutazione, fino alla prevenzione e mitigazione dei rischi individuati. Un percorso che richiede tracciabilità, verificabilità e replicabilità, e che deve essere pienamente inserito nella governance aziendale. Non è una dichiarazione di intenti: è un modello operativo, che deve essere dimostrato attraverso dati, evidenze e risultati misurabili.
Non stupisce, quindi, che la dimensione della governance sia rimasta pressoché invariata anche in seguito alle proposte di semplificazione introdotte dal Decreto Omnibus. In un contesto normativo in continua evoluzione, è proprio la governance a costituire la base stabile su cui poggia l’intera architettura della sostenibilità: ne orienta le scelte, ne presidia l’attuazione, ne garantisce la coerenza.
Anche il mercato, intanto, si sta muovendo. Dopo una fase iniziale di incertezza, in cui molte realtà non soggette ad obblighi immediati hanno rallentato i propri percorsi, oggi si assiste a un rinnovato slancio. Cresce il numero di imprese che, pur non essendo tenute formalmente a farlo, scelgono consapevolmente di investire nella sostenibilità, riconoscendone il valore strategico.
È una dinamica che supera l’orizzonte della mera compliance e conferma una verità ormai evidente: l’allineamento ai criteri ESG non è più solo una questione normativa. È il mercato stesso, con le sue logiche, le sue attese, le sue richieste di affidabilità, a richiedere coerenza, trasparenza e credibilità.
La sostenibilità è diventata un linguaggio comune. E come ogni linguaggio, ha bisogno di regole, strumenti e interpreti competenti. È questo il compito della governance. E oggi, più che mai, è il momento di riconoscerne il valore.


L’autrice
Martina Giordano Buono, svolge attività professionale nell’ambito della sostenibilità, con particolare focus su rendicontazione ESG, integrazione dei fattori ambientali, sociali e di governance nei modelli organizzativi e formazione tecnica per professionisti e imprese. Membro della Commissione Sostenibilità dell’Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Milano, da anni accompagna le imprese nel percorso di transizione sostenibile offrendo supporto operativo alla redazione dei bilanci di sostenibilità. È autrice del volume “Guida pratica per la redazione del Bilancio di Sostenibilità” (Giuffrè Francis Lefebvre) e svolge attività di docenza in corsi accreditati per Dottori Commercialisti.