Crisi perenne e sconfinata gioia di vivere. Immersione emozionale nelle strade cubane tra storia inedita, musica estatica e viaggi “multimodali”
di FABRIZIO APOSTOLO
Per le foto, la compagnia e le emozioni grazie ad Alex, Asia, Paola, Chiara, Camilla, Marco, Elena, Virginia, Sandro, Mauro, Barbara, Paul, Simone, Sergio, Maurizio, Daniela, Matteo, Cristian, Giulio, Alejandro, Florentino Ramon e Irina.
A Cuba i trasporti sono cultura. Come la musica. Come la letteratura. Come il volersi bene. Cultura, verrebbe da dire, particular. Alla cubana, insomma. Quella che, nella disperazione, fa di necessità virtù, ma non rinuncia mai al divertimento e alla gioia di stare insieme.
Ed è proprio dallo stare insieme che vuole partire questo mio piccolo Road&Leisure direttamente dall’isola caraibica a forma di coccodrillo. Mosso da due domande concatenate che mi ha rivolto al rientro la mia amica Giuliana: “Hai parlato con la gente? Ti sei emozionato?”.
Sì, Giuly, ci ho parlato e sì, mi sono emozionato. Moltissimo. A sentire, per esempio, che ancora oggi in villaggi e quartieri non tutti hanno abbastanza da mangiare e pure da bere e allora gli avanzi non vengono dati a los perritos o a los pajaritos, come accade altrove, ma si condividono tra i vicini, fino all’ultima briciola. O a vedere ancora oggi, esattamente come 25 anni fa, i sorrisi dei bambini quando estrai di tasca una biro e gliela metti tra le mani. O quello delle anziane a cui doni le confezioni di marmellate appena sottratte (silenzio, mi raccomando) in hotel.
Cuba è emozione pura, forgiata dai colori della sua natura paradisiaca, della sua musica – dal moderno reggaeton così come dai classici, tra il pioniere del mambo Benny Morè e l’immancabile Compay Segundo – fino alla sua dinamicissima letteratura, con Pedro Juan Gutiérrez tra gli autori che mi vengono da consigliare.
La storia rivoluzionata
Come spiegare Cuba? Facendo un rapido abstract, per esempio, della sua storia recente che comincia con la figura dell’intellettuale tardo-ottocentesco José Martì, passa dal casus belli dell’affondamento del Maine del 1898 con il giro di valzer, anzi di salsa, tra Spagna e Usa, poi dalla Repubblica di Cuba del 1902, quindi dalla dittatura Batista (1933-1959) e, infine, dalla Revolución.
Il giorno della storia, come noto, è il 26 luglio 1953, assalto dei castristi alla Caserma Moncada di Santiago de Cuba, oggi uno spazio-gioco per ragazzi e ragazze oltre che monumento naciónal. Andò male, ma non dal punto di vista dell’epopea. Fidel fu arrestato e amnistiato, poi in Messico conobbe il Che e con lui tornò nell’isola alle soglie dell’inverno 1956 (nel gruppo c’era anche un italiano, Gino Donè Paro). Prese corpo, poco dopo, la guerriglia dei barbudos e, insieme ad essa, un’efficacissima (e geniale) azione propagandista che di fatto dura ancora oggi.
All’inizio del 1958 Guevara fonda Radio Rebelde, scacco matto mediatico al regime, mentre Castro gira le campagne con un sacerdote che battezza i campesinos e non manca di alimentare costantemente il culto di Martì. La dittatura Batista cessa di esistere nel gennaio del 1959. Per quel che segue o precede, e non è poco, basta cliccare qui.
Cultura, autostop e fantasia
Il cenno alla propaganda ci fa gioco per tornare dove siamo partiti, ovvero ai trasporti e alle infrastrutture. Nel primo caso, è un po’ come con i colori o con le note musicali: le variazioni sul tema possono essere infinite. Premesso che la formula standard è l’autostop, lungo le carreteras cubane si va a piedi, a cavallo, con il calesse, in bicicletta, sidecar, motorino, Ford, Cadillac o Dodge degli anni Cinquanta, pullman sgangherati (tranne i Gaviotatours per turisti), tir mozzati o autocarri difficilmente databili anche con il Carbonio-14.
Tutti, a Cuba, accolgono tutti, meglio se in cambio di qualche spicciolo o, nel caso, anche no. Avanti, c’è posto, si starà un po’ strettini, forse, ma presto o tardi la meta sarà raggiunta. Insieme.
E le strade? Meglio non percorrerle di notte, perché qui ormai non esistono buche, ma di fatto solo voragini. Di giorno, no problem, perché tutto sommato a Cuba i cicli gelo-disgelo tanto dannosi per l’asfalto sono assenti, mentre ampi tratti di strada sono più che decorosi e il traffico delle tangenziali milanesi, qui, non è mai pervenuto.
Quanto alla segnaletica, tanto di cappello, abbiamo visto anche un “Cultura y cortesia” per più “seguridad vial” e questo è un bellissimo messaggio, da esportare. Tutto ciò che implica investimenti, invece, semplicemente non c’è perché la benzina, metaforicamente e letteralmente parlando, è davvero agli sgoccioli e il serbatoio è vicino al punto di vuoto.
Cuba ha aperto le porte al turismo dopo il crollo dell’URSS nel 1991. Trent’anni più tardi la pandemia l’ha flagellata ancora una volta, perché quella turistica è in fondo, oggi, l’unica industria locale. Girare l’isola è più che sicuro e il turista è anche un amico che può portare gioia, amicizia e speranza, non solo a chi gravita intorno agli hotel, ma anche a tanta povera gente che brancola altrove, e ricevere in cambio grappoli di esperienza ed emozioni tutte da gustare.
Un altro spazio, un altro tempo
Produzione, prodotti, pubblicità. A Cuba non vi è nulla di tutto questo. E anche l’agricoltura boccheggia per il vuoto di tecnologia. Già, perché – assenti i trattori – l’aratro forse oggi non può dirsi tale. Ma ci sono le Ford, le Cadillac, i Dodge degli anni Cinquanta, con le bambole di scapigliate megere protettive pendenti dallo specchietto retrovisore e antiche spugne a sostenere i contachilometri perché sia messo sulla linea di sguardo dell’autista. Tecno-avanguardia di un esercito di carretti che si scansano nei terrapieni popolati da vacche (magre) e caprette (minute), quando passa un veicolo più grande di loro.
Intanto, sulla strada che collega Holguin a Santiago, costellata da alberi dai colori divini, davanti a noi ogni tanto compaiono soltanto i grandi affiche – belli, colorati e stridenti come un’aria dodecafonica o la mia chitarra quando è stonata – della propaganda, a ricordarci che la Revolución durerà per sempre (gufiamo un po’…) e presto o tardi vincerà.
Ma intanto, il turismo ha reso proprio Holguin una città diversa, quasi ridente, con i giovani che fanno l’aperitivo e vanno al mare per rilassarsi, mangiare insieme l’arroz imperial e festeggiare i compleanni. Quasi come se scappare in Texas, via Nicaragua, potesse anche non essere l’unica opzione.