Il fondatore di SPERI, l’ingegner Giuseppe Lupoi, ci racconta la sua visione, capace di mettere in rete competenze specialistiche ed evoluzioni normative
di FABRIZIO APOSTOLO
Cinquant’anni, appena festeggiati, di SPERI, società di progettazione costituita formalmente il 12 luglio 1974, ma “idealmente e simbolicamente”, come ci rivela il suo fondatore e presidente, l’ingegner Giuseppe Lupoi, il “14 luglio, anniversario della presa della Bastiglia. A me in fondo piace pensarla così. D’altronde, si è trattato di un’iniziativa per certi versi rivoluzionaria…”. Per saperne di più, la via migliore è partire dal nome, acronimo che sta per “Società progettazione e realizzazione infrastrutture” (“Anche se noi non abbiamo mai costruito alcunché”).
Ingegner Lupoi, ci aiuta a capire meglio?
La questione è semplice: a quel tempo le norme italiane non permettevano la costituzione di società di ingegneria. Per vararne una, era necessario celarsi dentro un’impresa di costruzioni; in questo modo era possibile redigere progetti utilizzando il suo ufficio tecnico. Si trattava di un retaggio del passato, sanato solo nella metà degli anni Novanta, con la Legge Merloni che, di fatto, riconobbe in pieno lo status dell’ingegneria organizzata in forma societaria.
Ingegnere, facendo un piccolo passo indietro le formulo una domanda che anticipa lo spirito del nostro 2025, in cui porteremo alta (anche nel colore della nostra testata) la bandiera dell’Obiettivo 4 dell’Agenda ONU 2030: Istruzione di Qualità: ci racconta qualcosa sulla sua formazione?
Mi sono laureato in Ingegneria strutturale a La Sapienza di Roma nel 1968. Il mio relatore di tesi è stato Riccardo Morandi, professore di ponti, uomo e docente eccezionale. Il tema della tesi che mi assegnò fu “La ricostruzione, con nuove tecnologie, del ponte ad archi in muratura di Ariccia”, lungo la via Appia, parzialmente crollato l’anno precedente. Dopo la laurea feci pratica in diversi studi professionali; in parallelo però maturavo un’intuizione, che diventava sempre più nitida: solo un’organizzazione complessa, come una società di ingegneria, avrebbe potuto affrontare al meglio alle sfide imposte dalla complessità, del presente e soprattutto del futuro.
Infrastrutture di trasporto nel DNA e, insieme, “spirito connettivo” votato alla crescita. Si delinea, già agli albori di SPERI, un percorso figlio di una visione che il senno di poi avrebbe decretato vincente…
Ci vollero molti anni per riuscire ad avviare un processo di sviluppo piuttosto significativo che ci consentì di ampliare i nostri orizzonti. Molti di più per introdurre competenze specialistiche come l’edilizia nel terziario, la geologia, la topografia, l’ingegneria meccanica, etc, fino alle prime “esplorazioni” dei mercati esteri in cui oggi siamo attivi, grazie soprattutto alla spinta dei miei figli che lavorano in azienda, per esempio con le iniziative legate all’hotelerie che sovraintendiamo dall’ufficio di Londra (ma siamo anche presenti in Kazakhstan, a Doha in Qatar e a Miami, negli USA). Numericamente, siamo passati da poche decine di unità a svariate centinaia di collaboratori.
Un altro fattore che contraddistingue la vostra storia è quello dell’impegno nell’associazionismo, connesso, in fondo, anche se in un senso più largo, a quell’idea di “organizzazione” che ha contraddistinto la sua intuizione originaria.
Consideri che mezzo secolo fa non era nemmeno semplice far lavorare insieme ingegneri e architetti, due categorie allora profondamente divise. Oggi, invece, la multidisciplinarietà è una condizione acquisita nel nostro mondo: si è trattato di una conquista raggiunta grazie alla buona volontà e anche alle necessità. Nel primo caso ci metto proprio l’impegno nell’associazionismo, esemplificabile nel lavoro dell’OICE, che ha avuto il suo momento chiave nel 1992 quando l’Organizzazione entrò in Confindustria, atto che gettò le basi per giungere al pieno riconoscimento normativo e istituzionale delle società di ingegneria (la svolta è coincisa proprio con il primo anno di presidenza dell’ingegner Giuseppe Lupoi, che ha guidato l’organizzazione delle associazioni di ingegneria, architettura e consulenza tecnico-economica fino al 1998, contribuendo a far giungere in porto, nel 1994, la “Legge Merloni” nel 1994, ndr).
Cosa intende, invece, per “necessità”?
Mi riferisco all’evoluzione della professione, aspetto che ci riporta, tra l’altro, al tema della formazione. Per rendere meglio l’idea farò un esempio: al tempo dei miei studi era già molto in voga il “Manuale dell’Ingegnere” di Giuseppe Colombo (1836-1921), Hoepli, la cui prima edizione risale al 1877-1878. Un volume unico e maneggevole indirizzato, come riportato nella prefazione “ai soli ingegneri”. Qualche decennio dopo uscì il “Nuovo Colombo”: più tomi, migliaia di pagine, centinaia di autori, nuove discipline come l’ingegneria gestionale o quella ambientale… Una rivoluzione della complessità che ha confermato in pieno quanto previsto: la necessità di “ingegnarsi” il prima possibile ad affrontare questi mondi non più singolarmente, ma costantemente “al plurale”, ovvero in maniera connessa e organizzata.
Occupiamoci ora, anche in una prospettiva diacronica, di alcuni temi cari alla nostra testata, a partire dal collegamento tra progettazione, sostenibilità e territorio, ambito che tra le altre cose proprio quest’anno vi ha visti salire sul gradino più alto del podio nei premi OICE per quanto riguarda la categoria “Mitigazione del rischio idrogeologico e tutela del territorio”.
Anche in questo caso l’evoluzione, non solo in SPERI ma nell’intero settore, è stata esponenziale. Farò un esempio sull’onda del precedente: quando ero studente, nel corso di Tecnica 2, alla materia “anti-sismica” il libro di testo dedicava una pagina e mezza, che diventava poi anche un vero e proprio strumento applicativo. Oggi, e non da oggi, è diventata una “scienza” complessa che può essere gestita solo grazie a complessi software: tutto può e deve essere calcolato nel dettaglio più profondo. Per rispondere alla sua domanda, credo che un punto di svolta importante, tra gli altri, sia stato il passaggio – a cavallo del Terzo Millennio – tra la predominanza delle nuove costruzioni e quella del rinnovamento dell’esistente, un paradigma che ha portato con sé tutti i dovuti riguardi in materia di consumo di suolo. Quanto alla sostenibilità in senso più generale, posso dire che la normazione e la progettazione negli ultimi anni hanno seguito un percorso coerente, portando al raggiungimento di un traguardo: il consolidamento, nella pratica, di soglie di attenzione sulla materia decisamente alte.
In tutto questo che ruolo assegna, ingegnere, all’innovazione?
L’innovazione è supporto prezioso al cambiamento, al lavoro di squadra e va governata perché ci aiuti a governare al meglio quella complessità, in continuo progress, di cui abbiamo detto. Il suo ruolo è fondamentale al pari di quello dell’organizzazione.
In questi tempi di ricorso, anche non sempre del tutto controllato, all’intelligenza artificiale, c’è un elemento del “glorioso passato” dell’ingegneria che considera prezioso illuminare o sottolineare, per esempio a beneficio di una corretta istruzione delle giovani generazioni?
Illuminerei la cura per determinate attitudini, che potremmo chiamare “intelligenza” o “esperienza”, ma anche “passione” per un mestiere che può portare, senza alcun dubbio, a grandi soddisfazioni. Sono questi i fattori, nonché i valori, che ci consentono di adattarci ai tempi che cambiano e talvolta ad anticiparne le svolte e costruire solide prospettive. Trasmetterli ai giovani e alle giovani specialiste è oggi la mia vera mission.
Mi permetto di suggerire un ulteriore termine da aggiungere ai precedenti: “dialogo”, in generale e nel caso specifico “generazionale”.
Certo, un dialogo a tutto campo, che non deve mai interrompersi. Un dovere e insieme un piacere.
Ingegner Lupoi, torniamo a parlare di infrastrutture e, in particolare, di ponti. L’abbiamo immaginata in compagnia del professor Morandi a “dialogare” sulla ricostruzione del ponte di Ariccia. Qualche decennio più tardi, si verificò la tragedia di Genova che, tra le altre cose, generò un non più rinviabile salto di qualità e quantità in materia di controlli e messa in sicurezza. Come affrontò SPERI quella fase cruciale della nostra storia recente?
Ben prima che il ponte sul Polcevera crollasse avevamo già realizzato, per importanti gestori stradali e ferroviari, una serie di studi finalizzati al revamping di strutture costruite 50 anni prima. Partivamo dunque da una buona base di esperienza. Nel post-crollo fummo tra i primi, in Italia, a dare corpo a uno studio ad ampio raggio dei punti autostradali italiani, anche in questo caso cooperando strettamente con i gestori. Si è trattato e si tratta di un’attività molto rilevante per la SPERI del tempo presente, che ha rappresentato e rappresenta un laboratorio unico per mettere a terra tutti i concetti che abbiamo toccato fin qui: dal rinnovamento alla sostenibilità, dai benefici per i territori, per esempio in fatto di ritrovata efficienza trasportistica e sicurezza di percorrenze, al raffinamento del lavoro di squadra, sempre più multidisciplinare.
Niente più dispute tra ingegneri e architetti, dunque?
Quelle sono soltanto uno sbiadito ricordo (sorride, ndr). Oggi ogni giorno in SPERI lavorano gomito a gomito ingegneri, di tante diverse specializzazioni, architetti, geologi, topografi, esperti di opere marittime. Per me incontrare tutti loro rappresenta una grande soddisfazione, condita da una punta d’orgoglio. Motivano dal fatto che un modello organizzato di questo genere rappresenta, in fondo, il frutto di quella famosa intuizione che ebbi praticamente ancora sui banchi di scuola.
L’ingegner Giuseppe Lupoi, che ringraziamo per questa conversazione, ha compiuto 80 anni l’11 novembre 2024, pochi mesi dopo il cinquantesimo compleanno della sua “rivoluzionaria” SPERI, nel senso che ora ci è chiaro. Un acronimo in stile design&build ante litteram e, insieme, un invito decisamente allargato a progettare il futuro.