Arte e ingegneria della durabilità: un antidoto socio-culturale alla fragilità delle reti. Con un occhio alle radici delle scuole politecniche e l’altro… a Wim Wenders
Con il consenso dell’autore, a cui va il nostro grazie per aver divulgato questi concetti pienamente in linea con la nostra proposta tecnico-culturale, riproponiamo nella rubrica VISION Expert l’articolo che l’ingegner Stefano Susani ha recentemente affidato alle pagine digitali del suo profilo LinkedIn. Il titolo originario: “Taking care of things: the art and engineering of making things last”.
Clicca qui per leggerlo integralmente sulla piattaforma, in inglese e italiano.
di STEFANO SUSANI
Nel suo saggio “Speed, Time, Infrastructure: Temporalities of Breakdown, Maintenance and Repair” Steven Jackson ci fa notare come nell’esperienza comune i sistemi e le infrastrutture che ci circondano funzionino per la maggior parte delle persone e per la maggior parte del tempo. Quando riflettiamo sulla durata delle nostre reti tendiamo a pensare al buon progetto che le ha rese possibili, al momento della loro realizzazione che è stato epico, eppure, queste percezioni del senso comune trascurano il ruolo centrale della manutenzione e della riparazione nel mantenere operative le infrastrutture, di qualunque tipo esse siano. La scala dei tempi di queste attività manutentive è, però, tutt’altro che episodica e momentanea, si sviluppa senza fine.
Gestualità manutentiva
In un certo senso, le nostre città e le nostre complesse e intricate reti strutturali fondamentali sono mantenute in stati ‘temporanei’ di funzionamento attraverso estesi e continui (e in gran parte trascurati) interventi di manutenzione e riparazione. Solo in presenza di una crisi o di un collasso, questo lavoro, che di solito rimane “invisibile”, riesce ad attirare una maggiore attenzione.
Si dice spesso che le infrastrutture diventano invisibili fino a quando entrano in crisi, in realtà è l’attività manutentiva che esse richiedono a venire gradualmente derubricata ad attività di routine e ad essere banalizzata (ad esempio quotata e comprata al ribasso e data in fornitura…). Pensate a quando entrare nella hall di un albergo o di un edificio pubblico, chi sta passando la scopa o lo straccio per fare le pulizie (il gesto manutentivo più naturale di tutti!) viene considerato o salutato da qualcuno? Ecco cosa intendo quando parlo di invisibilità.
Humanitas della manutenzione
Per questo Jackson ci sollecita ad adottare un ‘Broken World Thinking’, a guardare le cose dal punto di vista della loro fragilità, per poter ritarare le priorità nella gestione di questi sistemi infrastrutturali, che oltre ad essere ‘tecnici’ sono anche ‘sociali’.
A differenza del lavoro originario della progettazione o della riparazione straordinaria, la manutenzione deve necessariamente essere vigile, reattiva e capace di improvvisazione: non esiste un guasto uguale ad un altro, e quindi diventa attenta alle condizioni emergenti e richiede un’applicazione adattiva e creativa delle necessarie competenze e delle conoscenze ingegneristiche.
E questo ci porta ad un secondo aspetto essenziale nella nostra analisi sulla manutenzione. Sull’onda delle trasformazioni tecnologiche e della digitalizzazione, si parla di sensorizzazione, di diagnostica adattiva e predittiva, di IoT; se volete, anche questo contribuisce a derubricare il senso dell’attività umana di manutenzione, a ridurne il valore al mero gesto riparatore, da attuare in base alle indicazioni che elabora un sistema informatico.
Il libro “La cura delle cose”, di Jérôme Denis e David Pontille, ci restituisce la dimensione umana e sociale del lavoro manutentivo. I due autori, che lavorano su questo tema da oltre quindici anni, ci offrono una riflessione profonda su ciò che definiscono “l‘arte di far durare le cose“, esplorando il rapporto tra oggetti materiali e il mondo umano attraverso lenti antropologiche e sociologiche. Il libro si propone come una sensibilizzazione alla manutenzione come pratica quotidiana e necessaria di persone dedicate al prolungamento della vita delle cose.
Un percorso in cinque tappe
Sono cinque le categorie essenziali che Denis e Pontille delineano per caratterizzare l’unicità dell’atto manutentivo; si tratta di fragilità, attenzione, incontro, tempo e tatto.
Già dalle prime pagine, Denis e Pontille ci immergono nella diversità delle attività di manutenzione attraverso il racconto di una giornata apparentemente “ordinaria”. Sebbene la manutenzione sia spesso considerata “un’attività di sfondo”, che tende a passare inosservata, essa è ovunque intorno a noi, che si tratti di un rubinetto che gocciola, di lavori stradali o della cura di una bicicletta. Gli autori sottolineano che la manutenzione, lungi dall’essere un’azione straordinaria, ha un forte valore politico: mantenere significa opporsi al declino degli oggetti, resistere all’obsolescenza programmata e agire nell’ordinarietà del quotidiano senza proiettarsi verso crisi future. In questo senso, l’obiettivo del libro è anche quello di sensibilizzare il lettore all’importanza delle persone che si occupano di queste attività, invisibili ma fondamentali.
La fragilità, ce lo dice anche Steve Jackson, è nella natura delle cose, è alla base del concetto di vita utile. Ogni infrastruttura è fragile a modo suo. Alla fragilità il progettista oppone la duttilità, che viene monitorata e coltivata dal manutentore. Qui la scienza dei materiali svolge la sua massima funzione, ma si deve coniugare con la realtà della manifestazione della difettosità o della crisi: tutte le cose si degradano e richiedono cura continua.
L’attenzione è necessaria, perché sottolinea concetto di sensibilità e percezione nel lavoro di manutenzione. Gli autori esplorano come percepire l’usura e la fragilità degli oggetti sia una questione sensoriale, che coinvolge non solo la vista, ma anche il tatto, l’olfatto e l’udito. Si tratta di una attività dove conta l’esperienza, il colpo d’occhio che matura dopo anni di confidenza con le opere da manutenere e che difficilmente può essere affidato ad un fornitore occasionale.
L’incontro, o la ‘presenza’, si concentra sugli incontri/scontri e le interazioni/integrazioni tra esseri umani e oggetti. Gli oggetti resistono alla manutenzione, nascondono i propri difetti e possono essere ulteriormente danneggiati da un intervento manutentivo inadatto. Ecco che la presenza diventa non negoziabile e la remotizzazione, la digitalizzazione, la sensorizzazione possono non essere sufficienti.
Poi il tempo, la manutenzione agisce sulla durata dell’oggetto e dell’opera ma, di fatto, ne definisce anche l’esistenza e la fruibilità nel tempo: non esiste una attività manutentiva avulsa dall’esercizio di una infrastruttura e, per le stesse ragioni, l’attività manutentiva evolve in relazione all’evolversi del servizio prestato dall’infrastruttura stessa.
Infine il tatto, che si lega alla presenza e all’esperienza e diventa una questione di ‘tocco’ esperto del manutentore, e quindi dell’unicità della sua esperienza.
Visioni e pulsazioni
Con una visione e una capacità espressiva tipica della sociologia, gli autori ci dicono, insomma, che la manutenzione, con la sua “pulsazione quotidiana”, rappresenta un modo diverso di interagire con il mondo materiale, lontano dall’ossessione per la novità e l’interruzione: il loro libro offre una visione complessa e articolata della manutenzione come atto politico, sociale e tecnico, e propone una nuova prospettiva per comprendere la durata e la cura delle cose.
L’ingegneria della cura
Un altro libro “The shock of the old” di David Edgerton, ci ricorda che l’ingegneria nasce per la cura delle cose, le grandi scuole politecniche europee erano votate alla protezione del patrimonio infrastrutturale militare prima e sociale poi. È solo di recente che l’ingegnere si identifica con il creatore di nuova tecnologia e di nuovi progetti, al punto che ci si occupa di manutenzione viene genericamente riferito come tecnico.
Denis e Pontille ci stimolano a ridare il peso, la stima e la giusta considerazione agli sforzi di chi ogni giorno si dedica a far durare le reti che rendono possibile l’infrastruttura della nostra vita quotidiana.
Guardatevi Perfect Days* di Wim Wenders, e fateci un pensiero!
* Un fotogramma del film (2023) nell’immagine di apertura di questo articolo.
L’autore
Stefano Susani, ingegnere, è Chief Executive Officer del Gruppo Maccaferri. Con un’esperienza trentennale nel settore delle infrastrutture e della sostenibilità, Susani, prima di approdare in Maccaferri, è stato Amministratore Delegato di Amplia Infrastructures e di Tecne (entrambe società del Gruppo Autostrade per l’Italia). Ha maturato una profonda conoscenza del settore grazie a un percorso professionale che lo ha visto ricoprire ruoli di responsabilità tecnica e manageriale in alcune delle principali società operanti nel mondo delle infrastrutture, attive in Italia e all’estero.