Sono ancora possibili? Approfondiamo alcuni “snodi” normativi tra D.Lgs 50/16, DM 48/19 e D.Lgs 36/23 (Nuovo Codice)
di MARCO ABRAM | Ingegnere e autore
In tema di varianti nel passaggio dal D.Lgs 50/16 (art. 106), D.M. 49/18 (artt. 8 e 22) e l’odierno Nuovo Codice D.Lgs 36/23 (artt. 60 e 120; artt. 5 e 35 dell’Allegato II.14), non è che siano intervenute moltissime variazioni, ma alcune di queste sono davvero importanti ed in questo articolo andremo ad approfondirle, quanto meno una, ovvero quella delle “varianti in caso di errore progettuale”.
La struttura dei dettami principali ovvero l’art. 106 del D.Lgs 50/16 e l’art. 120 del D.Lgs 36/23 nel passaggio normativo si è mantenuta molto simile, quindi, risulta abbastanza semplice andare ad individuare le modifiche e gli aggiornamenti intervenuti.
L’altra grande modifica, che non tratteremo oggi approfonditamente, è quella relativa al “quinto d’obbligo” che è passato dopo tantissimi anni dall’essere un automatismo determinato per legge e quindi sempre applicabile ad un “opzione” che va definita nei documenti di gara se la stazione appaltante intende avvalersene.
Vediamo cosa diceva il D.Lgs 50/16 al riguardo ed oggi il D.Lgs 36/23.
Art. 106, comma 12, del D.Lgs 50/16 “Modifica di contratti durante il periodo di efficacia”
“12. La stazione appaltante, qualora in corso di esecuzione si renda necessario un aumento o una diminuzione delle prestazioni fino a concorrenza del quinto dell’importo del contratto, può imporre all’appaltatore l’esecuzione alle stesse condizioni previste nel contratto originario. In tal caso l’appaltatore non può far valere il diritto alla risoluzione del contratto.”
Art. 120, comma 9, del D.Lgs 36/23 “Modifica dei contratti in corso di esecuzione”
“9. Nei documenti di gara iniziali può essere stabilito che, qualora in corso di esecuzione si renda necessario un aumento o una diminuzione delle prestazioni fino a concorrenza del quinto dell’importo del contratto, la stazione appaltante possa imporre all’appaltatore l’esecuzione alle condizioni originariamente previste. In tal caso l’appaltatore non può fare valere il diritto alla risoluzione del contratto.”
Quindi care stazioni appaltanti su questo punto state ben accorte in sede di progettazione, specialmente capitolare, perché poi indietro è difficile tornare, e francamente il “quinto d’obbligo” in corso d’esecuzione può far comodo.
Una premessa
Per analizzare il tema delle varianti per “errore progettuale” oggi dobbiamo prima di tutto fare un cappello, una premessa e poi subito dopo un passo indietro nel tempo.
Partiamo dal capello che consiste non tanto nella definizione di errore progettuale, sui cui la norma è sempre stata abbastanza chiara, quanto nella circoscrizione del “danno” da esso cagionato.
Ecco, è proprio su questo tema che negli anni si sono sentite dire davvero tante imprecisioni, lanciate verso i progettisti, più come “spauracchio”, che come reale conseguenza e consistenza di danni “patiti e patiendi”.
Non è questa una difesa della categoria “a spada tratta”, anzi sono il primo a dire che talvolta i progetti rappresentano una criticità, ma questo dipende da tanti fattori e variabili molti dei quali troppo spesso non dipendenti dai progettisti ma da un sistema che andrebbe ricalibrato su obiettivi reali e praticabili.
Cosa si intende dire? Che i progetti per essere eseguibili necessitano di giusti dati di base, giusta marginalità e giusti tempi. Non si fanno buoni progetti basati sulle scadenze, sui finanziamenti disponibili e sulle esigenze della politica. Ma questo è un altro argomento.
Danno derivante da errore progettuale
Torniamo sulla definizione di danno derivante da errore progettuale, dove per fortuna a fine 2022 è intervenuta mirabilmente la Cassazione con l’Ordinanza n. 33537 del 15/11/2022 a perimetrarne l’entità.
L’ordinanza afferma, dopo ampia disamina del caso di specie, che: “il danno derivante dalla condotta illecita di un professionista, che erri nella progettazione e realizzazione di un <>, del quale sia necessario il rifacimento <>, consiste nei costi sopportati per la realizzazione dello stesso e nella sua eliminazione, ma non pure in quelli che sarebbero occorsi, ed occorreranno, per la sua esecuzione a regola d’arte”.
Sgomberato il campo dall’equivoco facciamo il passo indietro che avevamo anticipato e mettiamo a confronto l’allora D.Lgs 163/06, con il successivo D.Lgs 50/16 e l’odierno D.Lgs 36/23 e vediamo come sono cambiate le cose.
E cerchiamo in questo modo di rispondere alla domanda da cui siamo partiti: è possibile oggi fare una variante per errore progettuale?
Per fare emergere con evidenza la risposta utilizziamo un confronto a tre colonne e l’ausilio di alcuni segni grafici, renderanno il tutto, i vari passaggi più comprensibili. Non riportiamo gli interi articolati ma degli estratti, delle sintesi di essi.
Quindi, nel passaggio dal D.Lgs 50/16 al D.Lgs 36/23 si è perso nel comma 1 il requisito di “imprevisto” relativamente alle varianti “imprevedibili”.
In effetti, la specificazione di “imprevisto” legato dalla congiunzione “e” al requisito di “imprevedibilità” lo rendeva abbastanza superfluo visto nel secondo è contenuto sicuramente il primo ma non viceversa.
Pertanto, le varianti per errore progettuale che rientrano solamente nel caso di “imprevisto” vediamo dove erano collocate e dove è possibile oggi prevederle.
I concetti che prima erano inseriti nell’art. 132, commi 1, lettera e) e 4, del D.Lgs 163/06, erano stati riportati tutti nell’art. 106, comma 2, lettera b) del D.Lgs 50/16 ed oggi riproposti solo in parte nell’art. 120, comma 3, del D.Lgs 36/23.
Visto però, che quella del suddetto comma 3 rimane l’unica fattispecie dove poter inserire una variante “imprevista” ed essendo evidente che l’errore progettuale ancora esiste, anche perchè comunque è stato riproposto [si veda l’art. 3, comma 1, lettera r), dell’Allegato I.1, del D.Lgs 36/23] è evidente che questo rimane l’unico punto dove collocarla e di conseguenza come nel precedente D.Lgs 50/16 il limite oltre il quale poter andare alla risoluzione del contratto rimane il 15%, enunciato anche dall’art. 122, comma 1, lettera b, ultima parte, del D.Lgs 36/23 [ex art. 108, comma 1, lettera b), ultimo periodo, del D.Lgs 50/16].
Nel passaggio dal D.Lgs 163/06 al D.Lgs 50/16 il requisito di “imprevedibilità” per la varianti diciamo di miglioramento di aspetti funzionali disposte dal RUP è sparito, togliendo questo tipo di vincoli, lasciando solo quelli di carattere generale tipo la “sostanzialità” della stessa e lasciando quindi fra le righe il requisito accettabile di “imprevisto”, tant’è che le varianti per errore progettuale vengono inserite proprio in questo ambito rafforzando la tesi esposta sopra relativamente all’ambito di collocamento nel D.Lgs 36/23.
Conclusione
Quindi in conclusione le varianti per errore progettuale si possono ancora fare e collocare all’interno dell’art. 120, comma 3, del D.Lgs 36/23 con il limite del 15% oltre il quale si può ricorrere alla risoluzione del contratto come disposto dall’art. 122, comma 1, lettera b, ultima parte, del D.Lgs 36/23 (ex art. 108, comma 1, lettera b), ultimo periodo, del D.Lgs 50/16).
L’autore
Ingegnere civile con una vasta esperienza nel campo delle infrastrutture, Marco Abram ha sviluppato una notevole expertise anche nell’ingegneria forense ricoprendo il ruolo di CPT. Culture della materia tecnico-amministrativa, Abram è anche prolifico divulgatore, attraverso quaderni di approfondimento, volumi (tra le sue pubblicazioni recenti: “La Modulistica Tecnico-Amministrativa, commentata, delle Opere Pubbliche. Guida alla comprensione e compilazione dei modelli per i lavori pubblici”, Maggioli editore) e contributi LinkedIn e web (attraverso il sito https://www.maitalia.eu/).