Alla scoperta dello spicchio più nascosto del Cusio, tra pievi medievali, ponti di pietra e antichi mestieri. Il più diffuso: lo scalpellino
di FABRIZIO APOSTOLO / Foto di ASIA MICHALAK
Per toccare con mano il paese delle meraviglie, in fondo, basta attraversare lo specchio magico del lago d’Orta, provincia di Novara a un’ora da Milano, oltrepassare l’isola di San Giulio (teatro del capolavoro di Gianni Rodari C’era due volte il barone Lamberto) e approdare sulla sponda Ovest del bacino lacustre che Piero Chiara chiamava “l’acquarello di Dio”. Tra i suoi luoghi belli e sconosciuti, Road&Leisure allo stato puro, c’è Alzo di Pella, appoggiato tra l’acqua e l’orrido su cui svetta il santuario della Madonna del Sasso.
Qui, tutto appare magicamente “come una volta”, per dirla con il nome di alcuni vecchi ristori di queste parti, circoli per lo più, dove si trova ancora il “tapulòn”, piatto a base di carne di cavallo cotta nel vino. Ma magiche, da queste parti, sono soprattutto le pietre: autentici scrigni di storie.
Quella più antica è un masso inciso della seconda età del ferro rappresentante di una diffusa Stonehenge lacustre: i suoi enigmatici solchi sono letti come segnali di un culto arcaico, propiziatore di piogge e fecondità. Ma la pietra per eccellenza, molto più tardi, sarà quella intagliata nelle cave dagli scalpellini, che nell’Ottocento portarono alla ribalta il pregiatissimo granito bianco di Alzo.
Oggi sono ricordati da un monumento sul belvedere. Ieri riempivano di massi alzesi il gran mondo, dalla strada degli scalpellini, costruita da loro stessi per raggiungere il “luogo di lavoro”, fino a Berlino, destinazione nel 1945 delle lastre per il “Palazzo della Vittoria” hitleriano (saranno riconvertite in manti stradali). Ma di pietre candide, gli scalpellini riempirono anche e soprattutto la loro Alzo, dove nel 1886 si costruì persino una ferrovia per portarle dritte a Novara e, di lì, all’Europa.
Da Barcellona a Orta sulle tracce di Pietro Durio
Di granito bianco oggi son forgiati i balconi e scolpite le porcilaie del borgo. Le case storiche, poi, ne sono colme. Come quella del pittore (mancato da poco all’affetto dei suoi cari) Mario Gualea, che nell’Ottocento si chiamava Osteria del Sole e ora ha quadri appesi fuori e dentro le mura. Accanto, c’era l’Albergo Cusio e oggi c’è l’emporio del “Butighin”, tra i numi tutelari dei sapori di qui: dalle tome ai salami al barolo.
E c’era l’Albergo Alzese, sorto nel 1909 e recentemente e finemente restauraro (oggi si chiama La Séca). O la Famiglia Alzese, archivio e fucina di arti e mestieri: la edificò nel 1901 il sindaco Fiorentini per farne, a partire dall’asilo, la pietra angolare della comunità.
Tutte di granito sono infine le tracce di Pietro Durio, a cui è dedicata la via principale, il boulevard alzese. Albergatore, possidente a Barcellona del Grand Hotel Oriente (1842), donò ad Alzo il ponte sul Pellino e il lavatoio dove le donne fanno ancora il bucato.
Ma le vie della pietra, in questi luoghi di sacri monti e santuari, sono soprattutto quelle della fede. Il suo centro è San Filiberto, che si raggiunge scendendo la scala santa, puro granito anche qui. È la chiesa più antica di questa riviera, richiamo medievale per battesimi e funerali e sommatoria mozzafiato di epoche: dal campanile dell’anno Mille alle cappelle del Settecento fino ai 13 epitaffi ottocenteschi, la “Spoon River” del lago.
Quindi, scendendo ancora lungo l’antica via Teresiana, si raggiunge Pella, perla nascosta a fior di acque. Qui, dietro il cimitero domina il silenzio un ponte in pietra cinquecentesco, probabile restauro di un ben più antico manufatto romano. Per la serie: le vie del granito, da queste parti, sono davvero infinite.