Dalle viscere della Galleria Borbonica alle strade romane, sensazionali proto-infrastrutture: un viaggio, a ritroso, nel tempo
di FABRIZIO APOSTOLO / Foto di ASIA MICHALAK
Ancora Road&Leasure, strade e diletti, che sono anche e soprattutto tuffi nella storia e nella cultura. Girovagando tra Napoli e dintorni ne abbiamo colti, tra i molti possibili, due. Il primo ci ha condotto a immergerci, letteralmente, in uno spicchio della Partenope sotterranea. Il secondo, invece, a tuffarci (questa volta, metaforicamente) nella grande storia: quella della Pompei romana.
Il ventre di tufo
Iniziamo dai tempi “recenti”, quelli della Galleria Borbonica fatta costruire a metà Ottocento da Ferdinando II come pratica via di fuga intersecata ad altre reti di tunnel risalenti ai secoli precedenti. Un punto di partenza, per esplorarla, è Palazzo Serra di Cassano a Monte di Dio (Pizzofalcone), trionfo di tufo e piperno ricavati proprio dalle viscere sottostanti. La galleria è stata “scoperta” nel 2005 dal geologo Gianluca Minin, aperta per la prima volta al pubblico del 2010 (per ulteriori info basta fare un giro sul sito dell’Associazione Culturale Borbonica Sotterranea) e resa interamente fruibile a partire dal 2015.
Dal pozzo del cortile del palazzo oggi si arriva alle “cisterne”, ambienti profondi fino a circa 40 m dove negli anni della Seconda Guerra Mondiale trovarono rifugio migliaia di napoletani. In quel periodo, gallerie e vani furono anche dotati di servizi igienici e di un impianto elettrico installato dai tecnici dell’UNPA, l’Unione Nazionale Protezione Antiaerea, mentre su gran parte delle pareti e delle volte fu stesa calce bianca con il duplice intento di evitare la disgregazione del tufo e di migliorare la luminosità di spazi pienamente “abitativi”.
Queste case dentro le viscere furono popolate fino al 1947 per essere quindi abbandonate. Solo il cunicolo della Galleria Borbonica per circa vent’anni ebbe la funzione di deposito giudiziale, accogliendo tutto quanto – in particolare auto, moto e bici – veniva recuperato da crolli, sfratti e sequestri.
Le origini dello Shuttle
Dall’“interno notte” di Napoli all’“esterno giorno” di Pompei. Ovvero lungo le sue strade fatte di pietra e solchi, quelle su cui – chiudendo gli occhi – sembra quasi di vedere ancora oggi correre a perdifiato cavalli frementi e carri ricolmi di mercanzie.
Il professor Baludino Simone, dell’Università di Urbino, più volte ha raccontato di una serie di “curiose coincidenze”, che lui stesso descrive come in parte fondate e in parte no, ma comunque emblematiche dei legami che si possono instaurare tra le infrastrutture e i trasporti.
I carri (imperiali) misuravano “due sederi di cavalli”, cioè 1,435 metri, ovvero 4 piedi e 8,5 pollici, se fossimo non in Italy, ma in UK. Era la distanza tra i solchi della prima infrastruttura ferroviaria: le strade romane. Ora, 4 piedi e 8,5 pollici è anche lo scartamento ferroviario standard USA, d’origine inglese, of course. E se pensiamo che il diametro dello Shuttle venne scelto per far transitare i suoi componenti sulla ferrovia, la suggestione è presto fatta: le misure della più nota delle navicelle spaziali devono qualcosa a quelle dei quadrupedi affiancati d’età imperiale.
Atmosfere forse troppo leggere, da Road&Leisure? È, intenzionalmente, così. Per tornare seriosi, basterà ricordarci che oggi le smart road in fondo sono tornate a ispirarsi alle ferrovie, pensiamo al cadenzato truck platooning in cui le distanze tra i tir sono predeterminate digitalmente. To be continued…