Il resoconto del seminario dell’Ordine degli Ingegneri della Provincia di Roma dedicato all’attuazione dei criteri ambientali minimi in ambito stradale
Redazione VISIONJ in collaborazione con l’Ordine degli Ingegneri della Provincia di Roma
Nell’ambito delle attività di confronto e divulgazione scientifica svolte dall’Ordine degli Ingegneri della Provincia di Roma, con organizzazione a cura dell’ingegner Andrea Griffa, Presidente della Commissione Infrastrutture Stradali dell’Ordine, il 15 luglio scorso si è tenuto, nella sede di Roma, un seminario dedicato al decreto CAM Strade, DM 05/08/2024, GU n. 197 del 23 agosto 2024 “Criteri ambientali minimi per l’affidamento del servizio di progettazione, ed esecuzione dei lavori di costruzione, manutenzione e adeguamento delle infrastrutture stradali”. L’obiettivo: individuare e condividere i riflessi che lo stesso decreto avrà nella progettazione e realizzazione delle infrastrutture viarie.
Dalle competenze alle costruzioni
Il primo relatore a intervenire è stato il professor Maurizio Bocci, Ordinario di Strade, Ferrovie e Aeroporti-Fuori Ruolo, nonché Membro Esperto del Tavolo Tecnico CAM Strade. L’intervento si è focalizzato sull’importanza delle “competenze” dei progettisti e dell’ufficio di Direzione Lavori durante il ciclo di realizzazione di un’opera stradale, che parte dall’ideazione e dalla successiva progettazione fino ad arrivare al controllo della costruzione e, in particolare, alla sostenibilità ambientale che l’infrastruttura deve garantire.
Come sottolineato, i progettisti devono elaborare una Relazione CAM, conformemente a quanto previsto dall’art. 22, comma 4, lettera o) dell’allegato I.7 del decreto legislativo 31 marzo 2023, n. 36, in tutte le fasi progettuali; tale relazione è prevista di dettaglio nel progetto esecutivo, ma deve essere redatta in forma preliminare fin dal progetto di fattibilità tecnico economica. La relazione, per ogni criterio ambientale di cui al capitolo 2 “Criteri per l’affidamento del servizio di progettazione di infrastrutture stradali“, descrive le scelte progettuali che garantiscono la conformità ai criteri, indica gli elaborati progettuali in cui sono rinvenibili i riferimenti ai requisiti relativi al rispetto dei criteri, dettaglia i requisiti dei materiali e dei prodotti da costruzione in conformità ai criteri e indica le tipologie di mezzi di prova di cui al paragrafo 1.3.4 “Verifica dei criteri ambientali e mezzi di prova” che l’esecutore dei lavori dovrà presentare alla direzione lavori.
Il professor Bocci ha quindi effettuato un focus sulle pavimentazioni e sulle caratteristiche che devono avere per essere compatibili dal punto di vista ambientale. In particolare, ha fatto riferimento all’indice di riflessione solare (Solar Reflectance Index, SRI) che le stesse devono avere per alcune categorie di strade, in particolare, le strade urbane e le aree di sosta o di parcheggio, e il coefficiente medio di luminanza che devono avere le pavimentazioni delle gallerie al fine di limitare il consumo di energia elettrica per gli impianti di illuminazione.
Inoltre, la sostenibilità di una pavimentazione passa anche per le modalità di posa; nello specifico la temperatura di posa, e la capacità che la stessa abbia di mitigare il rumore dovuto al rotolamento degli pneumatici in fase di esercizio. Infine, ai fini della sostenibilità ambientale l’esperto ha spiegato come sia fondamentale la “circolarità” dei prodotti da costruzione, cercando di massimizzare il recupero dei materiali.
Per gli interventi di risanamento profondo che includono lo strato di fondazione, il progettista deve adottare soluzioni tecniche tali da consentire l’utilizzo di almeno il 70% in volume di materia recuperata, riciclata o di sottoprodotti, riferito al peso del prodotto finito, secco su secco. Per gli interventi di risanamento profondo che non includono lo strato di fondazione, valgono le prescrizioni di cui al criterio “2.4.1-Circolarità dei prodotti da costruzione”.
Per esempio, l’obiettivo del 70% di materia riciclata può essere perseguito con la stabilizzazione dello strato di fondazione e con il riutilizzo del conglomerato bituminoso di recupero nella produzione dei conglomerati bituminosi a caldo, nella realizzazione di strati di base a freddo e di strati di fondazione stabilizzati con cemento ed emulsione bituminosa o bitume schiumato.
Di seguito sono riportate le tabelle con i valori minimi da garantire per gli strati superficiali e quelli inferiori fino ad arrivare al sottofondo.


Le percentuali minime indicate nelle precedenti tabelle si intendono come somma dei contributi dati dalle singole frazioni utilizzate. Nei conglomerati bituminosi a caldo, con bitumi normali e con bitumi modificati, l’utilizzo di granulato di conglomerato bituminoso in quantità superiore alle percentuali minime indicate nelle tabelle, a prescindere dall’impiego di altre tipologie di materia recuperata, riciclata o di sottoprodotti, non deve incidere negativamente sugli aspetti prestazionali e su quelli funzionali della pavimentazione.
Il professor Bocci ha quindi concluso specificando che per il raggiungimento di prestazioni non inferiori a quelle di progetto è indispensabile utilizzare impianti di produzione adeguati o tecnologie innovative, additivi, leganti bituminosi appositamente formulati e qualsiasi altro prodotto in grado di compensare l’eventuale riduzione della prestazione provocata dall’impiego di una maggiore quantità di granulato. È fondamentale che nella fase costruttiva l’impresa presenti, unitamente allo studio della miscela, una relazione che descriva i materiali e le tecnologie proposte.
Il tempo della sostenibilità
Nell’ambito della nascita del Decreto CAM, Anas (Gruppo FS Italiane) ha avuto un ruolo fondamentale, come descritto dall’intervento dell’ingegner Sara Paludosi. Il CAM strade è un’ulteriore fase del processo di sviluppo della normativa sulla sostenibilità ambientale che trova le sue origini nel Piano d’Azione Nazionale (Green Public Procurement) del 2008.


In quest’ottica, Anas ha sviluppato nel tempo delle linee guida che, in forma di bozza, sono state presentate nel dicembre del 2024 e riguardano la Relazione di Sostenibilità dell’Opera e l’Analisi del Ciclo di Vita dell’Opera (Life Cicle Assessment) per i progettisti di infrastrutture stradali: il D. Lgs. 36/2023, nell’allegato I7, art. 6. Comma 7 punto e, specifica che il PFTE, in relazione alle dimensioni, alla tipologia e alla categoria dell’intervento, in linea generale, fatta salva diversa disposizione motivata dal RUP in sede di DIP, deve contenere una specifica “Relazione di Sostenibilità dell’Opera” come meglio dettagliato al successivo art. 11. Quest’ultimo può essere ottemperato secondo tre filoni di attività:
1. Riscontro con quantificazione degli obiettivi di sostenibilità;
2. Circolarità dei materiali da costruzione;
3. Sviluppo del Carbon Footprint.
Molto interessante, a tal proposito, è stata la descrizione del caso studio che l’ingegner Paludosi ha descritto in merito alla Stima della Carbon Footprint della SS 16 Adriatica in cui tutte le variabili analizzate sono state rapportate alla stessa unità di misura per la quantificazione di CO2 al metro lineare di opera.
Eco-progettare: le modalità operative
Il successivo intervento della professoressa Monica Pasca, Referente Area Ambiente dell’Ordine degli Ingegneri della Provincia Roma, ha riguardato i Riflessi dei CAM Strade sulla sostenibilità ambientale nelle progettazioni delle infrastrutture, descrivendo tutte modalità operative che devono essere seguite e rispettate nel corso della progettazione per garantire il concetto di Sostenibilità Ambientale di un’opera stradale per le varie fasi di affidamento:
• Selezione dei candidati: con requisiti di qualificazione soggettiva atti a provare la capacità tecnica del candidato ad eseguire l’appalto in modo da recare i minori danni possibili all’ambiente. Tali criteri non sono obbligatori secondo quanto previsto dal Codice dei Contratti (D.Lvo 36/2023).
• Clausole contrattuali: forniscono indicazioni per dare esecuzione all’affidamento nel modo migliore dal punto di vista ambientale. Tali clausole vengono esplicitate tramite criteri obbligatori ai sensi dell’articolo 57 comma 2 del Codice.
• Specifiche tecniche: definite dall’Allegato II.5 del Codice, “definiscono le caratteristiche previste per i lavori, i servizi o le forniture. Possono riferirsi al processo o metodo di produzione o prestazione dei lavori, delle forniture o dei servizi richiesti, o a uno specifico processo per un’altra fase del loro ciclo di vita anche se questi fattori non sono parte del loro contenuto sostanziale, purché siano collegati all’oggetto dell’appalto e proporzionati al suo valore e ai suoi obiettivi”. Esplicitate nell’ambito dei CAM tramite criteri obbligatori.
• Criteri premianti: requisiti volti a selezionare prodotti/servizi con prestazioni ambientali migliori di quelle garantite dalle specifiche tecniche, ai quali attribuire un punteggio tecnico ai fini dell’aggiudicazione secondo l’offerta al miglior rapporto qualità-prezzo. I criteri premianti non sono obbligatori ma l’articolo 57 comma 2 del Codice prevede che se ne debba tener conto, anche per la definizione dei “criteri di aggiudicazione dell’appalto”, in particolare, per l’applicazione del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa.
• Clausole contrattuali (modalità di esecuzione del contratto).


Ne consegue che i CAM, così come la valutazione degli impatti ambientali, l’analisi del DNSH e della Sostenibilità, non devono essere visti come obblighi a posteriori ai fini del completamento di un elenco elaborati di progetto, ma devono essere elementi fondanti che crescono con la progettazione. La relazione CAM non è e non può essere considerata una verifica di quanto svolto in progetto, ma deve essere l’abaco della progettazione stessa.
Per esempio, nella scelta delle alternative, già in fase di scelta delle alternative stesse e di PFTE, il progetto dovrà mirare a ridurre l’impatto ambientale di un’opera sia nella fase di realizzazione, sia durante l’esercizio dell’opera individuando componenti di attenzione, quali produzione e gestione dei rifiuti, consumo di energia, emissione di rumore, emissione di polveri, vibrazioni, contaminazione delle acque superficiali e sotterranee, utilizzo delle risorse naturali, incremento delle acque di ruscellamento sul suolo e nei reticoli di scolo, emissioni in atmosfera, acidificazione dei suoli ed eutrofizzazione, alle quali deve aggiungersi la tutela della biodiversità.
La conclusione converge sul principio che la nuova infrastruttura:
• Non deve arrecare danno all’ambiente;
• Deve migliorare l’ambiente in cui viviamo;
• Deve ridurre lo sfruttamento di risorse non rinnovabili;
• Deve minimizzare impatti;
• Deve, più in generale, essere progettata bene.
La concretezza del contesto
Il penultimo intervento è stato quello dell’ingegner Mauro Maschietto che, da professionista del settore, ha descritto le criticità che, in alcuni casi, l’applicazione troppo rigida del Decreto CAM può comportare ai fini ambientali; per esempio, l’utilizzo di materiali riciclati può non migliorare la sostenibilità di un progetto quando i costi economici ed ambientali legati al trasporto del materiale superano i benefici dell’uso di quel materiale.
In modo analogo può presentarsi il caso paradossale di un conglomerato di una pavimentazione che non migliora la LCA (Life Cycle Assessment) di progetto ma, essendo dotato di EPD (Environmental Product Declaration), dovrà essere preferito alla soluzione di progetto.
Durabilità sul campo
Infine, al termine del seminario è risultata particolarmente calzante l’esperienza di Valli Zabban che già da tempo sviluppa e produce prodotti certificabili CAM. L’ingegner Enrico Petelio, direttore commerciale Tecnologie Stradali Valli Zabban, ha descritto l’esperienza dell’azienda nella realizzazione della nuova strada che collega la statale della Val Pusteria (SS 49) a quella della Val Badia (SS 244) nei pressi di San Lorenzo di Sebato, nel Comune di Brunico, inaugurata il 9 aprile 2021, un’opera che ha consentito di migliorare in modo sensibile la gestione del traffico dell’area.
In particolare, è stato descritto l’utilizzo del nuovo legante Drenoval PBT (Perpetual Binder Technology) di Valli Zabban, che aumenta in modo significativo la vita utile del conglomerato bituminoso, migliorandone la resistenza a deformazioni permanenti, a fessurazioni termiche e a fatica.
Nel campo prove è stato possibile simulare l’invecchiamento del legante determinato da produzione, trasporto e stesa del CB, nonché, in virtù delle escursioni termiche che caratterizzano il sito, valutare il decadimento nel tempo dello stesso conglomerato. In Alto Adige sono state effettuate tutte le prove reologiche (DSR e BBR) sul legante invecchiato a breve termine (RTFOT) e a lungo termine (PAV), nonché quelle dinamiche sul conglomerato, mettendo a confronto un tratto di pavimentazione realizzato con Drenoval PBT e uno con bitume modificato tradizionale. I risultati – estremamente soddisfacenti – sono stati presentati in diverse pubblicazioni tecnico-divulgative e in un convegno ad Asphaltica.
Al seminario di Roma ha portato la testimonianza del mondo associativo sui CAM Strade anche il SITEB, nella persona del suo direttore generale Stefano Ravaioli (un approfondimento dedicato a questo link).
Rivogliamo un ringraziamento particolare all’ingegner Andrea Griffa e all’ingegner Filiberto Ferraro per il prezioso supporto redazionale e per le infografiche.