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La strada keniana

Viaggio in tuc tuc per le vie di Diani, tra incroci di vita, sicurezza autogestita e radiosa solidarietà

 

di IRINA MELLA BURLACU

Durante un mio viaggio in Kenya, tra le sabbie bianche di Diani e il vibrante cuore di Mombasa, ho imparato una cosa o due sulla sicurezza stradale: lezioni che non si trovano in nessun opuscolo turistico, ma che si imparano solo vivendo la strada, chilometro dopo chilometro. La decisione di lasciare il volante a un locale non è stata solo una scelta di sicurezza: è stata la mia porta d’accesso a un’immersione totale in un mondo che, altrimenti, avrei solo sfiorato. La mia guida, un veterano delle strade keniane con un sorriso tanto ampio quanto il suo cuore, era più di un semplice autista. Era diventato il mio sherpa in un territorio che sfidava ogni mio preconcetto sul traffico stradale. 

Le strade di Diani erano un mosaico vivente di tutto ciò che rende il Kenya così affascinante e, a volte, intimidatorio per un forestiero. Tra i matatu stracarichi che sfrecciavano con fiducia cieca, i boda-boda che zigzagavano con un’agilità che sfidava la fisica, e i tuc tuc, piccoli carri armati colorati che si facevano strada con una tenacia sorprendente, ogni momento era un promemoria del fatto che, qui, le regole della strada avevano un significato tutto loro.

Quando il caos si fa danza

Il tuc tuc, in particolare, ha aggiunto un sapore unico all’esperienza. Saltare su uno di questi veicoli era come entrare in un’altra dimensione, dove lo spazio si restringeva ma si ampliavano le possibilità di connessione con la vita intorno. Il loro abile manovrare attraverso il caos era una danza, una performance che mi ha tenuto incollata al sedile, ammirata e al tempo stesso un po’ ansiosa. I posti di blocco della polizia, sparsi come perline lungo il filo della strada, erano diventati parte del paesaggio tanto quanto gli alberi di baobab che spuntavano qui e là. 

Ogni fermata era un piccolo teatro di interazioni umane, dove un sorriso e qualche parola di swahili imparata alla buona potevano fare la differenza tra un controllo veloce e una lunga attesa sotto il sole equatoriale. Il vero viaggio, però, non significava tanto superare la distanza fisica tra due punti, quanto percorrere quel sottile confine tra il sentirsi ospite e diventare, anche solo per un breve tratto, parte di quel flusso ininterrotto di vita che è la strada keniana. 

Ogni buca evitata con maestria, ogni stretta di mano attraverso il finestrino con chi vendeva mango a bordo strada, ogni scambio di battute con la polizia stradale, e ogni risata condivisa in un tuc tuc traballante, mi faceva sentire sempre più vicina a comprendere non solo la terra sotto i miei piedi, ma anche la gente che la percorre ogni giorno. 

Segnaletica “homemade”

Mentre viaggiavamo, il tuc tuc ha rallentato improvvisamente a causa di un cantiere non segnalato dalle usuali insegne prefabbricate, ma da un semplice cartello “Men at Work” scritto a mano, appoggiato malamente. Questo cantiere sembrava essere sorto dal nulla, quasi improvvisato, con un gruppo di uomini al lavoro sotto il sole cocente per riparare un tratto di strada danneggiato. 

Il cartello simboleggiava non solo l’adattabilità e l’ingegnosità di queste persone, ma anche una certa forma di organizzazione comunitaria che si prende cura delle necessità. Il mio autista, notando il mio sguardo incuriosito, mi ha spiegato che in Kenya e in molte altre parti dell’Africa non è raro che le comunità locali o i piccoli gruppi di lavoratori prendano l’iniziativa di riparare le strade danneggiate. Questi sforzi, spesso autofinanziati o supportati da modesti contributi comunitari, sono vitali per mantenere la rete stradale funzionante, soprattutto nelle zone rurali o meno sviluppate. 

Alla fine, quello che mi porto a casa non sono solo le immagini delle spiagge immacolate o dei mercati brulicanti di vita, ma le storie condivise in quei viaggi in tuc tuc, le risate per le situazioni assurde e, soprattutto, il rispetto profondo per quelle persone che ogni giorno, navigano con destrezza e coraggio le strade di questo paese incredibile. Il Kenya mi ha insegnato che, a volte, la sicurezza non sta tanto nell’evitare il pericolo, quanto nell’affrontarlo con la giusta compagnia.

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